Pronao per una primavera

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Teano, 4 marzo 2015

In punta di piedi in Episcopio

 “Pronao per una Primavera”

Salone dell’Episcopio di Teano

Meditazioni di S. E. Mons. Arturo Aiello

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Violoncello Hanna MOISEIEVA

Pianoforte Pasqualina MARSOCCI

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Iniziamo questo pellegrinaggio che, come ho detto altre volte in termini “laici”, è un salotto stile ’800. Penso ai salotti parigini, dove si suonava ma si davano anche le linee di ciò che sarebbe accaduto sul piano internazionale, oltre che nelle relazioni, negli affetti, negli incontri tra persone illustri. Ovviamente dico questo per sorridere, perché il nostro intento, come gli abituali fra voi sanno, è di offrire una pausa di un’ora e mezza circa (a volte, quasi di due ore) dove l’anima possa riposarsi. Per questo non c’è aiuto migliore della musica, della grande musica, e quindi ringraziamo Anna e Pasqualina che sono le artiste che stasera ci aiutano nella preghiera, insieme con le variazioni su un tema specifico che il Vescovo svolge.

Ci fermiamo un attimo solo sul titolo e anche sull’immagine, che è la foto di una primavera a Teano (in fondo ci sono anche l’Episcopio e il campanile appena accennato della Cattedrale): “Pronao per una primavera”.

Le stagioni, quelle più desiderate – la primavera è tra queste – debbono essere in qualche maniera preparate e, oltre ad essere stagioni climatiche, sono anche stagioni dell’anima. Quindi questa sera (in cui tra l’altro c’è un’atmosfera molto invernale, come avete visto venendo qui …) vorremmo fare un atto di fede che ci sarà primavera anche quest’anno.

Vogliamo disegnare il portale per una rinnovata primavera, e ci riferiamo ovviamente a quella del cuore, a quella dell’anima, a quella della Chiesa cui siamo particolarmente legati.

F. Schubert: Adagio

 

Prima ci siamo scambiati il “benvenuti”, il “bentornati”, e adesso … mi piace dire: “Benvenuto con te stesso”, nel senso che questi nostri incontri non solo sono una pausa nelle corse esagitate delle nostre giornate, dei nostri mesi, ma rappresentano anche la possibilità di rientrare in noi stessi, riprendere la nostra dimensione di uomini, di donne, di fare il punto della nostra vita, accorgendoci che il tempo passa.

Rileggevo appena ieri “Pensiero alla morte” (nulla di macabro e di lugubre) di Paolo VI, dove già avanti negli anni il grande Papa diceva: Forse non mi sono reso conto appieno, forse avrei dovuto studiare di più, avrei dovuto approfondire per rendermi conto di questa meravigliosa cornice della vita umana e, anche se rimane poco tempo, voglio farlo adesso.

Quindi ci guardiamo dentro per guardare il mondo, per renderci conto che siamo fortunati nonostante i drammi che ciascuno di noi si porta nel cuore. Dunque ciascuno di noi dia il benvenuto a se stesso, cioè: ritorna in te!

Ci accompagnano questi versi sul tema della primavera. La prima è una poesia di Maria Luisa Spaziani: “Primavera d’inverno”.

 

Primavera d’inverno: è quella vera,

senza pennacchi verdi, senza fiori.

È ancora puro spirito, è presagio,

misteriosa promessa.

Quando l’aprile esploderà, chiassosa

scenografia di tinte e profumi,

quella ricorderai, che nell’estrema

neve per te rideva.

 

È forse la poesia più adatta all’atmosfera invernale di questa sera! È una primavera guardata da lontano, intravista. Un’altra volta vi ho citato il verso di una poesia di Patty Pravo, di quando eravamo giovani, che diceva: “Un raggio di sole fa dire a dicembre: l’estate è già qui”. È come se ci mettessimo in pellegrinaggio verso la primavera anche in autunno, anche in pieno inverno (anche nel cuore dell’inverno attendiamo la primavera). Questa è la primavera d’inverno, quella per la quale non ci sono segni; non è una primavera che ti viene dall’esterno, ma quasi una stagione di cui cogliere i segni nel tuo cuore. Penso ad Hanna, che viene dall’estero, ma che adesso abita a Riardo: di inverni ne avrà conosciuti di rigidissimi, con mesi e mesi di neve e, forse per lei, come per i suoi connazionali, sarà stato ancora più difficile che per noi credere alla primavera, credere che possano sciogliersi le nevi. Quella ricorderai che nell’estrema neve per te rideva.

Allora è possibile una primavera anche in pieno inverno?

Ma in questo momento mi interessa di più sapere se è possibile una primavera dell’anima quando ci troviamo nel gelo, quando viviamo una situazione di disagio, quando Dio ci sembra lontano …

Sperare la primavera e agitarne la bandiera in pieno inverno significa vivere la speranza, quella che vogliamo tessere questa sera, guardando, intravvedendo, attendendo, come una sorta di “novena alla primavera” (se mi si permettete l’immagine!) questa nostra di stasera, quasi a dire: Vieni!

La gatta Cenerentola iniziava col testo “Jesce, sole”: era una invocazione al sole nel pieno della notte, perché il sole è vita. Ed è così anche per noi. Io sto guardando in cielo per vedere la prima rondine, e quest’anno non mi è stato dato ancora questo annuncio, non è arrivata la rondine che è poi l’avanguardia di un esercito! Attendiamo insieme un tempo in cui essere uomini, donne, insieme Chiesa, credenti, popoli pienamente. Facciamo un atto di fede anche in pieno inverno.

 

Primavera d’inverno: è quella vera,

senza pennacchi verdi, senza fiori.

È ancora puro spirito, è presagio,

misteriosa promessa.

Quando l’aprile esploderà, chiassosa

scenografia di tinte e profumi,

quella ricorderai, che nell’estrema

neve per te rideva.

 

Attilio Ariosti: Sonata in mi min, Adagio molto

 

È ancora puro spirito, è presagio,

misteriosa promessa.

 

Mi sembra d’aver utilizzato tutta la mia vita per educare i giovani al senso della promessa. Non so se ci sia riuscito, probabilmente no, a giudicare anche, sia pur da lontano, certi tracciati matrimoniali di ragazzi che ho avuto adolescenti, poi innamorati pazzi, poi fidanzati e poi sposi. Ancora oggi, da Vescovo, nelle mie divagazioni con i giovani, insisto su questo aspetto; mi potreste dire: forse hai sbagliato file, siamo a “In punta di piedi”, non alla “Preghiera giovani”! Invece, il fatto che i nostri giovani, i nostri adolescenti – e non solo: credo anche i trentenni di oggi – facciano tanta fatica a vivere la promessa, dipende da noi adulti. Non siamo riusciti ad appassionarli a ciò che non c’è ancora e che verrà nella misura in cui sia atteso.

È puro presagio, dice la Spaziani in merito alla primavera d’inverno, cioè: è tutto da venire, non c’è niente! Ma in questo niente forse c’è tutto.

Questa sera è qui – e gli dedico la serata – Don Angelo Castellano, che molti di voi conoscono come il compositore di tanti canti che utilizziamo nelle liturgie solenni, ma da un po’ di mesi è anche il parroco della mia parrocchia d’infanzia, e quindi un po’ diventa anche custode di via Punta La Guardia n°28, il luogo dove sono nato (a quei tempi eravamo generati e partoriti nelle case). Perché faccio riferimento a lui? Intanto per ringraziarlo della presenza e, più a fondo, per dire: ma chi scommette su un bambino? Chi ha il coraggio di investire su un adolescente? Mi sembra che anche noi, come Chiesa, da questo punto di vista veniamo meno! Queste età ci sembrano così labili, così poco concrete, così lontane dalla fascia attiva della popolazione da non meritare una attenzione. Alcuni di voi sono insegnanti e quindi vivono di questo e per questo (spero!), ma sempre più mi sembra di percepire che non si scommette su un bambino. Lo vedo anche con i nostri preti: quanti pensano che questi bambini domani potranno diventare …?, che questi adolescenti, che questi ragazzi dell’ACR, che questi giovanissimi diventeranno …? È proprio per noi grandi l’attenzione al presagio, l’attenzione quando è ancora puro spirito, misteriosa promessa! Molti di noi hanno null’altro realizzato ciò che sognavano da bambini; credo in diversi qui potremmo dire: “Sono diventato semplicemente (e sarebbe da dire anche: meravigliosamente!) quello che sognavo quando avevo dieci anni, dodici anni …” (ai nostri tempi si era ancora bambini a dodici anni!).

La fatica che fanno i nostri giovani è sentire la promessa importante: bisogna giocarsi sulla promessa, la vita è promessa, l’amore è promessa più che realizzazione, ma dipende dalla nostra difficoltà a viverla questa promessa, oggi! Guardando loro, guardando i figli, guardando i nipoti, guardando le nuove generazioni diamo sempre così facili giudizi negativi, ma non riusciamo a guardare la primavera in pieno inverno!

Allora quelli fra voi – ne vedo diversi – che sono impegnati nella scuola, da queste poche cose che sto dicendo dovrebbero trovare una ulteriore motivazione a investire, perché se un ragazzo ha la percezione che tu adulto hai fiducia in quello che potrà essere, al di là dei risultati che oggi ti dà, se tu gli dai speranza, se tu dici: è andato male questo compito in classe, però tu puoi superare anche il primo della classe, questo diventa un incentivo enorme, e noi che forse abbiamo realizzato qualcosa nella vita, credo dobbiamo essere riconoscenti a chi ha scommesso sul presagio che noi eravamo. Quando siamo partiti per le nostre avventure vocazionali, o anche matrimoniali, qualcuno ha avuto fiducia in noi, qualcuno ci ha detto: faccio il tifo per te! Questo è ancora puro spirito, è presagio, misteriosa promessa.

Chiediamo al Signore stasera di poter scommettere di più sui piccoli, su ciò che è piccolo, su ciò che adesso non si vede.

Quando si è molto anziani, io immagino (vado verso quell’età ovviamente), si comincia a dire: “Sì, però non lo vedrò …”. Ma questo non è importante! A parte che lo vedremo con altri occhi e con altre prospettive, ma non è importante che il seme, che io semino, poi divenga spiga da raccogliere: tu semini e altri raccoglieranno! Lo dice anche Gesù: altri è chi semina, altri è chi raccoglie. Così è nella vita: noi siamo il frutto di seminagioni, di semine fatte con pazienza qualche generazione fa, e quello che noi stiamo facendo, in qualche maniera, porterà frutto tra vent’anni, quando forse alcuni di noi non ci saranno. Abbiamo la forza di sperare in ciò che è ancora puro spirito!

Quindi non accusiamo i giovani di non credere alle promesse, di non saper aspettare, se noi per primi non riusciamo ad investire senza un ritorno immediato. Mi sembra di cogliere nel verso della Spaziani anche molto di più della promessa di una primavera: è la promessa del bene. Forse gli altri, i tuoi figli, i tuoi nipoti, i tuoi alunni realizzeranno il bene se tu lo credi possibile in loro.

G. B. Sammartini: Sonata in sol Magg, Allegro non troppo

 

Vi ricordate che il mese scorso c’era qui una orchestra da camera? Vi ho fatto anche sentire i vari colori di suono – perché i suoni hanno un colore – degli archi, a partire dal violino, viola, violoncello, contrabbasso, scandendo anche le stagioni della vita.

Questa sera siamo in compagnia di un violoncello che appunto racconta un inverno che non vuole passare.

 

Mandorli in fiore

 

Con stupore infinito vi guardo, beati, guardo il vostro contegno

e come l’ornamento effimero portate con spirito d’eterno.

Ah, chi sapesse fiorire: il suo cuore sarebbe d’un balzo

al di là dei pericoli vili, e fermo dinanzi al pericolo grande.

 

Il grande Rilke guarda i mandorli che sono l’avanguardia della primavera; li guarda come un poeta e dunque come un contemplativo, ed è bella l’immagine del contegno dei mandorli, più che della bellezza. Cos’è il contegno? E come l’ornamento effimero portate con spirito d’eterno: questo verso è bellissimo, perché non riguarda solo i mandorli, ma anche noi.

La pioggia non vi ha permesso di guardare la meravigliosa mimosa del giardino dell’Episcopio ricca d’oro, ma anche quella è una bellezza effimera: tra quindici giorni non ci sarà più nulla! Il portamento della bellezza effimera, come se fosse eterna, è il contegno che Rilke riconosce nella bellezza e nella beatitudine dei mandorli in fiore. La bellezza effimera, l’ornamento effimero, potrebbe essere portato con sciatteria, con disattenzione, con la percezione che è solo d’un momento. Tra un attimo, se viene una gelata, i nostri mandorli, ancora più velocemente, perderanno questo ornamento! Eppure è portato con spirito d’eterno, come se dovesse durare per sempre, come se fosse una regalità mai al tramonto! Mi chiedo se questo non riguardi anche la vita, se non dobbiamo portare questo ornamento effimero, almeno dell’aspetto esteriore della nostra vita, con spirito d’eterno, e non per vantarci, perché in questo ornamento effimero c’è una traccia d’eterno, perché nel giorno che volge al tramonto, perché nella bellezza che è d’un attimo, vi è depositato un messaggio d’eternità. È bello guardare gli alberi fioriti con lo sguardo di Rilke che ne esamina il contegno!

Ah, chi sapesse fiorire … : fiorire allora non è un fatto automatico! La primavera non è una stagione che scocca a prescindere da noi, se bisogna saper fiorire. L’uomo può fiorire e può sfiorire, può cantare e può lamentarsi; dunque c’è una sapienza da imparare per fiorire.

Ah, chi sapesse fiorire … (qui c’è il messaggio centrale della poesia): il suo cuore sarebbe d’un balzo al di là dei pericoli vili – cioè superebbe, salterebbe a piè pari la viltà di certi pericoli, cioè la volgarità, quelle difficoltà quotidiane che pure ci avviliscono, ci tolgono grinta, gioia, speranza – e (sarebbe) fermo dinanzi al pericolo grande. Ma – mi sono chiesto – qual è il pericolo grande? Il pericolo grande è non sperare, è la disperazione. Quindi l’uomo che sa fiorire salterebbe tutte quelle problematiche, tutti quegli intrichi, tutte le ombre che a volte avvelenano una giornata e una vita, in qualche maniera sarebbe libero, sarebbe ben al di là: lo vediamo sempre un po’ più in alto, naviga ad una certa altezza, neanche coglie certe cose! Questi sono i pericoli vili. Poi c’è il pericolo grande, dinnanzi a cui starebbe fermo, cioè attestato per non precipitarvi, perché la disperazione è come un abisso.

Chiediamo d’esserne liberati questa sera, anche in questo itinerario naturalistico/spirituale – lo definirei così – sulla primavera; che nessuno di noi esca da questa sala ancora con il cancro della disperazione, che significa: nella mia vita non succederà nulla di nuovo. Allora non ci saranno peschi, mandorli che possano ridestarti, perché stai precipitando: questo è il pericolo grande che dobbiamo chiedere di evitare.

Finché l’uomo ricama speranza, anche nella situazione più disagiata, è al sicuro.

 

Benedetto Marcello: Sonata in sol Magg, Andante, Allegro

 

È bello, ascoltando la musica, contestualizzarla anche nel secolo. Per esempio, con questa Sonata siamo a Venezia, quindi avete immaginato le parrucche bianche, le giubbe dorate, le gondole, le corti, l’oro del Barocco. Quindi con Benedetto Marcello siamo veramente nel tempo dell’ottimismo, che è l’epoca Barocca, nonostante i nei e i cicisbei (come ci diceva a scuola).

Invece, con il nostro itinerario poetico, facciamo un salto molto vicino a noi, con la Dickinson.

 

La primavera ritorna sul mondo

 

La primavera ritorna sul mondo.

Guardo l’aprile, che non ha colori

per me, finché tu venga,

come prima del giungere dell’ape

restano inerti i fiori,

destati all’esistenza da un ronzio.

 

La primavera non è un fatto oggettivo, non è un fatto che accade, ma è l’incontro, la sinergia di un dato fuori di noi con le congiunture astrali dei nostri affetti, dei nostri desideri, del fatto che perché venga la primavera, è importante che tu venga.

Penso alle prime primavere di chi viva un lutto. L’abbiamo sperimentato in tanti, credo tutti: la primavera viene ma non viene, perché tu non ci sei, perché tu sei morto, perché tu sei nell’aldilà. Quando penso a questo contrasto, mi viene sempre un’immagine della primavera 1981, quindi dopo il terremoto, dove c’erano ancora le macerie in alcuni palazzi della mia parrocchia e, sopra le macerie, un pesco fiorito che era speranza, che era contrasto tra una speranza andata in frantumi e tragicamente, con dei morti, con delle vittime, e poi, invece, una speranza che insorge nonostante tutto. Non so perché, ma quel taglio di luce m’è rimasto come questo contrasto della primavera, perché le persone morte sotto le macerie non vedevano quel pesco che avevano visto tanti anni tornare, o almeno non lo vedevano con gli occhi della carne.

Perché venga primavera è importante anche essere insieme. Qui entrano tutte le attese, cioè la primavera la fa l’altro. Questo è molto chiaro nel Cantico dei Cantici, che è un testo bellissimo, è Parola di Dio oltre che un testo poetico, in cui la primavera è il momento in cui lui torna:

 

Somiglia il mio diletto a un capriolo

o ad un cerbiatto.

Eccolo, egli sta

dietro il nostro muro;

guarda dalla finestra,

spia attraverso le inferriate.

 

Questo ritorno è poi inserito in un quadro di primavera:

 

Ecco, l’inverno è passato,

è cessata la pioggia, se n’è andata;

i fiori sono apparsi nei campi,

il tempo del canto è tornato…

e le viti fiorite spandono fragranza.

 

È tornato il tempo del canto, a dire che è primavera quando tu torni. C’è la dimensione relazionale: quando torna il figlio, quando torna il marito, quando torna la moglie, quando torniamo a sorriderci …

 

N’ auciello freddigliuso

aspetta ch’esce ‘o sole,

ncopp’’o tturreno nfuso

suspireno ‘e vviole.

 

La poesia di Di Giacomo, “Marzo”, che parla dell’alternarsi e dell’incertezza atmosferica del mese di marzo, in realtà parla della scontrosità della donna che è discontinua, ora dice sì, poi dice no. Ho imparato questa poesia da bambino e ovviamente non sapevo minimamente che potesse significare altro, tra altro anche con una lettura “erotica”, ma ovviamente questo i bambini per fortuna non lo intendono; per me, così come la declamavo forse a otto anni, “Marzo” era semplicemente la descrizione dell’incertezza atmosferica, invece poi è l’alternarsi di una donna umorale per il poeta. Se non sbaglio qualche anno fa ho citato questa poesia alla celebrazione delle Ceneri perché mi sembra fortemente quaresimale. N’ auciello freddigliuso aspetta ch’esce ‘o sole: è la Quaresima, dove facciamo i fioretti, le penitenze, la Via Crucis, in attesa della Pasqua, del sole di Pasqua!

Quindi è primavera quando tu torni, quando lui torna.

Mi chiedo se questo non possa leggersi anche come desiderio del ritorno di Dio. Perché? – vi starete chiedendo – Dio se ne va? No e sì. No, nella Sua presenza costante alla creatura, pena il dissolversi della creatura stessa; non esisteremmo se Lui non fosse qui a sostenerci, a dare a me la voce, alle artiste l’arte, a noi il battito del cuore, la possibilità d’intendere. Però, a volte, va via … va via nel senso che si nasconde. E questa è una dinamica propriamente amorosa, cioè giocare a nascondino è proprio dell’amore, e Dio lo fa con noi. Ci sono momenti in cui ci sorride e momenti in cui (e forse anche a ragione) è come se ci tenesse il broncio per farci venire il desiderio di dire: Ma torna! Oppure: Torno! Perché non è Dio che deve tornare, sono io, il figlio prodigo che è andato lontano pensando di poter essere felice lontano da Dio.

 

La primavera ritorna sul mondo.

Guardo l’aprile, che non ha colori

per me, finché tu venga,

come prima del giungere dell’ape

restano inerti i fiori,

destati all’esistenza da un ronzio.

Benedetto Marcello: Sonata in sol Magg, Grave, Allegro

 

Questo Allegro è come il ronzio dell’ape di cui ci ha appena parlato la Emily Dickinson, poetessa fondamentalmente infelice, come sapete, vissuta in una forzata clausura e scoperta nella sua grandezza dopo la morte violenta. Attraverso i poeti e le loro malattie noi capiamo la vita.

Vorrei fermarmi un attimo sull’immagine dell’ape che certamente è l’immagine di lui che è tornato a risvegliare questa donna addormentata, come la bella addormentata nel bosco; ma “restano inerti i fiori, destati all’esistenza da un ronzio” dà la possibilità di sottolineare la grande responsabilità che abbiamo rispetto alle cose, oltre che alle persone, cioè: uno sguardo fa essere. Pensate a questo piccolo bouquet di rose rosse qui all’angolo della console (non ce l’ho messo io, ma lo trovo qui): se io non lo guardo, cade nel nulla!

L’attenzione, che è lo sguardo dell’uomo, fa essere le cose. Non che le cose dipendano da noi, beninteso, non siamo in un soggettivismo esasperato, ma certamente le cose prendono vigore dal nostro sguardo! Questo lo applico spesso alle statue nelle nostre chiese, che sono il condensato di milioni di sguardi, a volte attraverso secoli, che creano una patina affascinante, che nessun restauratore, nessun pittore riuscirebbe mai a dare. Ad esempio, la nostra violoncellista avrà familiarizzato con la Madonna della Stella, a Riardo … Non ancora?? Allora la signora Concetta ti darà le istruzioni, perché zela l’onore del santuario! La Madonna della Stella è l’immagine venerata da tanti, ed effettivamente è l’immagine mariana più bella che ci sia sul territorio della Diocesi. Questa bellezza da che cosa viene? Viene dall’artista? Certamente! Viene dalla buona conservazione, da un’opera di restauro, ma indubbiamente viene dallo sguardo orante dei riardesi lungo i secoli! Noi facciamo essere le cose, noi rendiamo belle le cose col nostro passaggio. Questo dà un tocco di regalità alla nostra vita, perché è come se le cose (ma a volte anche le persone) aspettassero il nostro passaggio per essere liberate dalla inconsistenza, dalla insignificanza, perché se nessuno mi vede, io non sono; se nessuno mi coglie, se nessuno mi guarda (questo è molto chiaro nella psicologia infantile, cioè i bambini crescono nello sguardo della madre! Più del latte è lo sguardo!), se nessuno mi vede, allora resto un fiore inerte intorno a cui non è arrivata nessuna ape a ronzare, come nell’Allegro di Benedetto Marcello.

Chiedo al Signore di non vanificare tutto quello che di bene io possa fare guardando le cose, guardando le persone, guardando le situazioni e trasformandole con un semplice sguardo, con la semplice presenza. Ci sono, ti guardo (è forte quello che sto per dire, però accoglietelo come un paradosso, è paradossale), dunque sei!

 

La primavera ritorna sul mondo.

Guardo l’aprile, che non ha colori

per me, finché tu venga,

come prima del giungere dell’ape

restano inerti i fiori,

destati all’esistenza da un ronzio.

 

Henry Eccles: Sonata in Sol min, Grave, Courante, Adagio, Vivace

 

Il Vivace ci ha ben inserito in “Primavera” di Pavese:

 

Sarà un volto chiaro.

S’apriranno le strade

sui colli di pini

e di pietra …

I fiori spruzzati

di colore alle fontane

occhieggeranno come

donne divertite: le scale

le terrazze le rondini

canteranno nel sole.

 

È un testo di grande luminosità, dove la primavera è descritta con chiazze di colore. Innanzi tutto l’incipit: Sarà un volto chiaro. Non sappiamo se è il volto di una donna, il volto della primavera, il volto di un tempo …; certamente scorre nelle vene della storia qualcosa di nuovo. Pensate che certi fiori, anche nella storia della Chiesa (penso a Francesco di Assisi, a Chiara), sono stati resi possibili da una sgelata culturale e sociale, perché è sempre interessante collocare i santi, o comunque i personaggi, nel loro tempo. Che cosa significava l’apertura dei mercati? Bernardone, il padre di Francesco, era un mercante; Francesco si chiamava Francesco (aveva un altro nome) in onore alla Francia che è stato motivo di guadagno per il padre. È come se in quel momento, culturalmente ed economicamente, stesse concludendosi un grande inverno e quindi c’è uno scorrere delle acque, c’è voglia di vita, voglia di rifarsi, di svegliarsi dopo la notte del giubileo dell’anno mille, che doveva essere l’ultima notte. Non sarà stato vero nel passaggio dal 31 dicembre al 1° gennaio, perché poi i movimenti culturali sono lenti (ancor più a quei tempi), ma pian piano, nei secoli successivi c’è un senso di vita, una gioia di vivere che fiorirà appieno nel Rinascimento. Quindi tornano le arti, torna a fiorire la vita. Questo leggo in: Sarà un volto chiaro.

S’apriranno le strade. Ai tempi di Francesco, le strade sono quelle del commercio, le strade della gente che ama stare fuori col bel tempo. S’apriranno le strade sui colli di pini e di pietra. Questa pietra addirittura ha perso la sua freddezza in primavera.

I “fiori spruzzati di colore alle fontane occhieggeranno come donne divertite” indicano che c’è un chiacchiericcio di vita: sono i fiori che parlano ai fiori. C’è un bellissimo verso di Bobin che mi viene in mente in questo momento, dove vede sulla sua scrivania un bouquet, lo sente, lo guarda da poeta come fiori che chiacchierano tra loro.

L’ultimo verso: le scale le terrazze le rondini canteranno nel sole. C’è una progressione verso l’alto: le scale, le terrazze, le rondini, come a dire “in alto i nostri cuori”. Non ancora stasera, ma tra un po’ entreremo in questa luce, speriamo non solo esterna, ma anche dentro di noi … una luce dolce, come quella d’aprile.

 

Gabriel Faurè: Sicilianne

 

È di Margherita Guidacci l’ultima poesia: “Inizio di primavera”. Margherita Guidacci appartiene a un gruppo collocato a Roma negli anni ’50, ’60, del secolo scorso, con una forte ispirazione di fede. Era un gruppo di donne poetesse in contatto tra loro che guardavano anche gli eventi della fede con molta attenzione. Questa poesia è attraversata da un riso.

 

Una fanciulla ride dentro di me, incantevole.

Il vecchio albero ha contato gli anelli

del suo midollo, senza tralasciarne

neppure uno, conosce ogni grinza

della corteccia il suo logoro corpo …

Ma la sua anima ride dentro ogni foglia nuova.

 

Qui c’è il contrasto tra l’albero nodoso, che ha attraversato tanti inverni, e la primavera, a dire che la speranza nasce sempre sulle rovine (questo riso non viene da una inconsapevolezza, ma da una consapevolezza, quasi da un dramma). Il brano di Faurè un po’ ce l’ha anche trasmesso!

La speranza non nasce dalla inconsapevolezza di una persona a cui va tutto bene, dunque sorride … No, questa non è speranza! La speranza nasce dalla coscienza degli anni scritti dentro il tronco di questo albero nodoso.

Il vecchio albero ha contato gli anelli del suo midollo: bella questa immagine! Gli anelli del suo midollo (quasi un contare le vertebre), senza tralasciarne neppure uno, conosce ogni grinza, cioè sa la sua povertà, sa che da solo non può sperare, sa che ha bisogno di una redenzione, sa che il suo corpo va verso la dissoluzione, ma la sua anima ride dentro ogni foglia nuova. Quindi da un lato c’è il riso della fanciulla dentro la poetessa, è l’“io fanciullo” che si meraviglia e che ride, nonostante le lacrime; dall’altra – e fa da inclusione – c’è il riso dell’anima dell’albero, un albero segnato dal tempo, segnato dalle tempeste … La corteccia è come i corpi di molti di noi con le rughe, con le cicatrici degli interventi chirurgici, memoria di una vita difficile. Ma dentro questa difficoltà c’è una fogliolina nuova, dentro cui l’anima dell’albero provato, dell’uomo provato, ride, spera. Ricomincia.

 

Claude Debussy: Les Cloches

 

Guardavo il residuo di una distruzione: un pezzo di cassettonato che avevo dinnanzi, tutto ciò che rimane del cassettonato della cattedrale di Teano prima dei bombardamenti. E mi dicevo: anche questo residuo viene da una lotta, viene da una distruzione, viene da un inverno, ed è l’unica cosa rimasta. È rimasto anche l’arco trionfale, come sapete, in pietra, ma del cassettonato è l’unico pezzo superstite, e mi sembrava che ci dicesse: spera, nonostante i tanti anelli del tuo midollo, le tante grinze della corteccia del tuo logoro corpo …

Noi siamo un po’ così: siamo dei superstiti, siamo sopravvissuti a tante cose. Questo, a volte, ci fa venire dentro la tristezza, invece deve metterci dentro tanta gioia. Aver superato una crisi, aver superato una malattia, aver superato dei decenni e resistere è una grande attestazione di speranza! La primavera viene appunto dopo bombe a grappoli (furono utilizzate per la distruzione della cattedrale a fine guerra). La primavera viene sui nostri campi di concentramento.

Ecco, vi affido questo ultimo pensiero grato, perché sottolinea come possa sperare solo l’uomo disperato, come possa sorgere la speranza solo nel cuore martoriato, solo nella vita mille e mille volte provata.

 

Grazie alle nostre due artiste che, alla fine del primo brano, ringrazieremo con un applauso. Grazie a voi che, con qualsiasi difficoltà atmosferica, resistete a queste somministrazioni “violente”: il vescovo ci fa volare, poi ci scaraventa all’inferno, poi ci porta in paradiso … In fondo, se qualcosa di buono si produce qui, è anche grazie a voi. Io non riuscirei a parlare davanti a una sala vuota! Voglio dire che ciascuno di voi, con la sua presenza, con lo sguardo, mi dà energia e mi suggerisce anche le cose da dire.

 

Voglio dirvi qualcosa sull’appuntamento del 30 aprile che è un po’ particolare. Lo vivremo in Cattedrale, non qui, perché c’è bisogno dell’organo a canne. Con il maestro Cascio faremo un esperimento un po’ strano e nuovo, nel senso che lui mi ha chiesto di affidare un tema a degli artisti e io ho pensato al Salmo 136 (“Sui fiumi di Babilonia là sedevamo piangendo …”, tra l’altro super musicato nel passato, nella storia della musica sacra) e questi artisti, a cui abbiamo dato l’input, porteranno le loro produzioni, ovviamente contemporanee, quindi non vi aspettate cose “classiche”.

Ci sarà anche un attore – se ricordo bene, Ugo Pagliai – che legge il Salmo e qualche altro testo; quindi sarà un’esperienza un po’ speciale che sostituirà “In punta di piedi in Episcopio” per entrare in punta di piedi in Cattedrale.

 

Benedizione del Vescovo

 

Camille Saint-Saens: Allegro appassionato

***

 

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.