Un appuntamento segreto, un giardino misterioso, una montagna incantata…

Domenica, 28 luglio 2019

Celebrazione Eucaristica

presieduta da Mons. Arturo Aiello – Vescovo di Avellino

Parco della Pace “Giovanni Palatucci” – Avellino        (1)

XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

 

 

Omelia del Vescovo

 

Gesù si trovava in un luogo a pregare e, quando ebbe finito, i Suoi discepoli gli dissero: “Signore, insegnaci a pregare”.

Mi intriga l’interrogativo dei discepoli, perché – lo dico a noi preti, ma anche a quelli fra voi che abbiano una responsabilità in un Movimento o in Parrocchia come catechisti – mette in crisi la nostra smania di insegnare le cose. Gesù non dice: “Adesso, carissimi, v’insegno a pregare”, e tutti a sbuffare, a smaniare, a guardare il telefonino… Gesù non dice niente, ma fa nascere una domanda. Questo è il nostro obiettivo, anche di queste messe serali (magari più in là o in quest’inverno ci vedremo a mezzanotte, celebreremo l’Eucaristia alle 2 del mattino…). Qualcuno dovrà pur chiedersi: ma perché?, ma che fate?, ma cosa vi spinge?

C’è l’abitudine, sulle Alpi, nei rifugi, ma ormai anche a Ravello, di fare concerti all’alba, alle 5 di mattina, e quindi tutti gli orchestrali si muovono forse già alle 2 di notte. Possibile che l’arte muova tante persone in orari inusitati, ed invece noi dobbiamo avere la Messa nell’orario più comodo, possibilmente sotto casa?

“Signore, insegnaci a pregare!”, chiedono i discepoli. Ma vogliono davvero imparare a pregare? Mi sono anche chiesto: vogliono veramente apprendere l’arte della preghiera? Probabilmente tutto questo è lontano mille miglia dalla loro intenzione.

C’è un fatto, carissimi: sono attratti da Gesù. Punto. Sono attratti da Lui, come si è attratti da un amante, da un amato, come si è attratti da un maestro. E, quando si è attratti, viene una voglia di stare, una voglia di guardare, una voglia di fare come Lui. Ovviamente parlo in una maniera un po’ paradossale, ma forse dobbiamo smetterla di fare catechismo, di fare tutte quelle preparazioni che annoiano chi le fa e chi le riceve. So di parlare in maniera paradossale ma, per un lungo tempo, come già diceva Padre Turoldo, non dobbiamo più parlare di Lui: per quale motivo?, con quale obiettivo? Con l’intento di far nascere una domanda. Intanto, almeno noi speriamo di essere i cinquanta giusti di Avellino, i quarantacinque, i quaranta, i trenta, i quindici, i venti, i dieci, ma … ce ne saranno almeno dieci? La risposta è che ce n’è uno solo nel mondo che è giusto, che salva: Gesù. Intanto i dieci, i cinquanta continuano a vivere la loro fede con intensità, raccogliendosi, pregando, cantando, manifestando una gioia, avendo gli occhi luminosi. E tutto questo intriga.

Purtroppo oggi la fede non intriga, perché noi non siamo intriganti. Gesù lo è stato, ovviamente con il Suo fascino, con il Suo volto (tornava dalla preghiera sempre con i muscoli distesi, come se fosse andato dall’estetista…). Gesù attraeva e faceva venire voglia: ma com’è che non c’è? Com’è che si è svegliato prima stamattina? Dov’è andato? Dall’amante, avranno pensato… Anche i discepoli erano malpensanti, come noi. Avrà l’amante? Avrà un appuntamento? Avrà un gruppo di discepoli prediletti che non siamo noi? Andiamo a vedere.

Vorrei che la nostra Chiesa provocasse delle domande.

I discepoli non vogliono sapere il trattato della preghiera “de oratione” – non serve a nessuno! – ma vogliono condividere il segreto che lo attraversa, vogliono assumere, per quanto possibile, imitandolo, forse scimmiottandolo, i Suoi atteggiamenti, l’inflessione della Sua voce, il Suo andamento, il Suo sguardo, il Suo amore.

 

“Signore, insegnaci a pregare!”.

Stasera ci raggiunge la preghiera della preghiera, la preghiera sulla preghiera, la preghiera introduttiva di ogni preghiera, più di “O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto”, con cui quelli fra noi, che hanno il vizio di celebrare la Liturgia delle Ore, iniziano Lodi, Vespri ecc.

“Signore, insegnaci a pregare!”.

Siamo qui per questo, per esprimere una domanda, e possibilmente – è l’aspetto pastorale di quello che tento di dire – generando questa domanda nella città tra i conoscenti: ma com’è che questa persona è sempre gioiosa, distesa, mette buonumore? Da dove attinge? Qual è il suo segreto? Da dove prende tutte queste energie?

Gesù non fa una lezione sulla preghiera, non ci dice di sederci e aprire il quaderno o il libro a pagina 52… no. Quando pregate, dite: “Padre”.

Mentre noi insegniamo che, quando si deve pregare, bisogna dire: “Padre Nostro, che sei nei cieli…”; Gesù dice: “Quando pregate, dite: Padre”. La preghiera non è una formula, non è neppure la formula del Padre Nostro. La preghiera è una relazione.

Quindi, o la preghiera è una relazione – e allora ti intriga, allora vai a comprare il regalo, allora cerchi il numero di cellulare, allora ti dai da fare – o diventa una formula, e quindi la troverò su Google, perché c’è la preghiera, e ci sono le preghiere. Le preghiere, a volte, aiutano ed esprimono la preghiera; con alcuni di voi ho recitato il Rosario, che è una preghiera, e speriamo che ci abbia introdotti nella preghiera, che non sono le preghiere: Ave Maria, piena di grazia… Quello è un ritmo, è un ritmo! La preghiera, invece, è una relazione.

“Quando pregate, dite: Padre”. Quale padre tra voi dà uno scorpione al figlio che gli chiede la nutella?

Che significa che la preghiera è una relazione? Significa che io debbo entrare chiedendo permesso. Il Papa ci insegna che in una relazione si entra dicendo: “Permesso?”. Si entra non strafacendo, ma ascoltando, si entra conoscendo i ritmi dell’altro, si entra pian piano, avvertendo che questa relazione prende spessore man mano che le parole s’accendono (“La sera invece che stelle, s’accendono parole”). Stasera ho portato con me la Croce del Cardinale Martini, e se tu hai incontrato un maestro nella vita, sai a che cosa io mi riferisca in questo momento: non a una relazione qualsiasi, ma alla relazione con il Padre.

Adesso so di toccare un punto doloroso per alcuni di voi, perché la nostra relazione con nostro padre non è sempre stata eccellente, luminosa, affettuosa, costruttiva; non tutti ci siamo sentiti incoraggiati dal padre. A volte – e questa è una grave responsabilità che hanno gli uomini, i maschi – una relazione sbagliata del padre con il figlio può ostacolare anche la relazione con Dio, perché la nostra configurazione di padre è immediatamente associata a nostro padre.

A che serve un padre?

Innanzitutto un padre serve ad inserirci in una storia. Gli Ebrei avevano il loro Credo: mio padre era un arameo errante… Che è come dire: c’era una volta il bisnonno, il trisavolo… Il padre ci mette dentro ad una storia; per questo, almeno per la nostra cultura italiana, ci dà il cognome. Ci sono tradizioni di altre nazioni – penso a quella ispanica – dove i cognomi si uniscono, quello del padre e della madre. Invece da noi il padre dà il cognome, per cui diciamo: “Tu sei figlio di…”. Adesso i bambini sono più importanti dei grandi: “Quella signora è la mamma di Marco”, diciamo oggi. Invece ai nostri tempi si diceva: “Quello è il figlio di Iolanda”. Vedete come sono cambiati i tempi? Adesso sono i bambini che danno l’identità ai genitori, che è una cosa un tantino strana, no?

Quindi il padre ci immette in una storia e questa storia è bella.

Quando pregate, dite: “Padre”, perché il Padre è il Creatore, è Colui che ha mandato il Figlio, è Colui che regge l’Universo attraverso il Suo Spirito, e tu ti devi sentire dentro questa vita, anche se sei depresso questa sera, anche se sei afflitto, anche se sei stanco, anche se ti aspettavi di andare al mare, ma purtroppo oggi non è stato possibile.

“Padre”. Il Padre è il Padre della Storia, ma anche colui che dà sicurezza. Quindi il padre dice: “Ce la farai, vai!”.

Le mamme dicono: “Attenzione, ti fai male!”.

Il padre dice: “Vai nel cortile”.

Le mamme: “S’è sbucciato un ginocchio!”.

Il padre dice: “È una cosa da niente”.

Dico queste cose partendo dall’esperienza umana, ma ovviamente mi interessa trasporre questa forza sul piano spirituale, cioè il padre ti dà forza. Anche se una persona oggi ti ha detto: “Non vali niente”, il padre dice: “Tu sei mio figlio”, e allora mi sento confortato, rafforzato nella mia identità. Voi non potete immaginare quante persone, oggi, siano sgretolate sul piano della propria identità, perché non hanno ricevuto cinquecento like e dunque vanno in depressione, ma il Padre non mette i like. Il Padre dice: “Tu sei mio figlio”; anzi: “Tu sei il mio figlio prediletto”, cioè guardo a te con affetto di predilezione, non sei un figlio qualsiasi, non sei figlio di N.N. – si sarebbe detto ai nostri tempi – non sei un figlio…, sei il figlio del Re.

Ecco, la preghiera ha l’effetto di immetterci in una storia, di immetterci in una relazione che ci rafforza, ci perdona, ci sana, ci lancia, perché chi non ha avuto un padre vero, biologico o anche un sacerdote, un maestro, non s’avventura mai, non esce di casa, ha paura della sua ombra; invece il padre ti lancia, ti lancia! I figli sono le frecce che il padre lancia verso il futuro, quindi Marco è la piccola freccia, la grande freccia lanciata verso il duemila e cinquanta; noi non ci saremo, tu sì. Così nella preghiera faccio questo training, per cui il Padre mi dice che posso fare cose grandi.

Vedete quanti effetti nella preghiera?

La preghiera mi responsabilizza anche nei confronti degli altri, perché nel Padre Nostro vorrei dire “Padre mio”, tutto mio, invece no: è nostro. “Nostro” significa che non ha generato solo te, ma siamo una famiglia numerosa, siamo il mondo intero, e nei confronti di questo mondo dobbiamo svolgere un’azione di intercessione. È quello che, in una maniera apparentemente tediosa, ma bellissima, abbiamo ascoltato nella Prima Lettura: “Rispose… Riprese…”.  Ma che fa Abramo? Abramo, che è entrato in questa preghiera, si sente responsabile di città peccaminose, e dice: “Non le distruggere!”.

Noi siamo qui stasera perché Avellino non sia distrutta, perché le coppie in crisi, che questa sera decidono di lasciarsi, e coloro che stanno per suicidarsi tornino indietro.

Ho questo potere? Non tu, ma la persona a cui tu dici “Padre”. Abramo ha la faccia tosta di contrattare con Dio: “Forse ce ne stanno cinquanta e non puoi distruggere tutti”. Poi… quaranta, trentacinque, trenta, venticinque, venti, quindici, dieci… Abramo si sente responsabile, perché la preghiera ti affaccia sul mondo, la preghiera ti fa dire “mio figlio”, anche se è lontano.

Bussate e vi sarà aperto. Busso al cuore del Padre che sta dietro alla porta aspettando che qualcuno apra. Qualcuno bussi per aprire! Se nessuno bussa, non può aprire, perché c’è quest’incantesimo: se non bussiamo, non apre; se non chiediamo, non ci dà…

La preghiera ti fa bussare per te e per gli altri.

Ecco, concludo questa piccola catechesi, in margine alla Domenica sulla preghiera; non sulle preghiere, non sui trattati, ma sulla voglia di scoprire quest’arte, questo appuntamento segreto, questo giardino misterioso, questa montagna incantata, questo abbraccio, questa Parola, questo silenzio, questa contrattazione che si chiama preghiera.

Signore, allora, insegnaci a pregare!

 

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Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.

(1) Causa maltempo la Celebrazione si è tenuta presso la chiesa Trinità dei Poveri – AV