Solennità del Corpus Domini

Solennità del Corpus Domini

Dal Parco Palatucci in Avellino – 14 giugno 2020

Santa Messa celebrata da

Mons. Arturo Aiello

 

Omelia del Vescovo

Facciamo un piccolo sacrificio, carissimi. È il sacrificio del freddo, dello stare in piedi per diversi di voi, vale la pena quando sono in lizza cose importanti, e questa sera ce n’è una importantissima per la tua vita ed è Gesù Eucaristia; lo abbiamo già contemplato Giovedì Santo ma il procinto della Passione non permette adeguatamente di fermarsi davanti a questo mistero che celebriamo ogni giorno, ogni domenica in maniera solenne e che ha avuto bisogno di questa solennità perché potesse essere posto all’attenzione dei fedeli, a dire: “Renditi conto che hai questa ricchezza, cerca di non perdere il gusto del pane, cerca di trasmettere ai tuoi figli questo gusto, ne va di mezzo la loro felicità, la loro vita oltre questa vita”, come abbiamo appena ascoltato dalle parole di Gesù: «Chi mangia questo pane vivrà in eterno». È un pane, l’oggetto più presente sulle nostre mense ed anche il simbolo stesso della vita; il pane non accompagna soltanto, il pane è ciò che ti sostenta. “Il Signore ti sorregge con fiore di frumento” dice il Salmista, e Gesù ha ricevuto questa tradizione del pane che gli veniva dalla liturgia dell’Antico Testamento; tutte le cose importanti avvengono intorno alla mensa; anche la Pasqua con cui si celebra la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto; e Gesù, mentre sta celebrando la sua ultima Pasqua, la sua Pasqua, decide di raggiungerci; decise quella sera di raggiungere anche noi in questa sera, fredda, di giugno, che eravamo raccolti un po’ alla spicciolata; dopo, speriamo dopo, ma diciamoci dopo, il Covid – 19, pensò a noi, pensò ai nostri smarrimenti, alle nostre sere disorientate, solitarie, pensò a noi ammalati, pensò a quanti avrebbero avuto fame di senso, di gioia, di pace, di Lui.

“E si rifugiò” – come dice Santucci in “Volete andarvene anche voi?” – si rifugiò, inventò questo nascondiglio del pane e del vino: «Fate questo in memoria di me». E noi stasera siamo qui insieme con alcuni presbiteri della città a ripetere, ubbidienti, questo gesto, quei gesti, quelle parole che ci dicono: “Lui è qui”.

È importante che, oltre – come abbiamo ascoltato dalla Sequenza – oltre quello che si vede, possiamo dire: “Lui è qui, Lui è con me, Lui mi sostiene, Lui prepara una mensa davanti ai miei nemici, Lui mi accompagna nella valle oscura, Lui sarà con me sul letto del dolore. Ci sarà sempre!”

«Io sarò con voi sino alla fine dei tempi» lo annuncerà ai suoi prima di partire ma lo ha già realizzato nel Sacramento che pone nelle loro mani, ignare, quella sera.

Speriamo che le nostre siano più consapevoli, innanzitutto le nostre di preti, ma anche le vostre che ricevete Gesù nel palmo della mano e dovete dire: “Questo pane non è pane” o anche “questo pane è Il Pane”. Sembra un’espressione contraddittoria. Innanzitutto questo pane non è pane e cioè non è quello che vedo e non è neanche quello che assaggio; l’ostia non sempre, tra l’altro, porta il sapore del pane; qualcuno dice che bisogna fare un doppio atto di fede, l’atto di fede nella presenza di Gesù o anche l’atto di fede che sia veramente pane. Non è pane il suo corpo, non è vino il suo sangue, è ciò che ti fa danzare anche nei momenti più difficili, ma poi questo pane è Il Pane, cioè il pane per eccellenza, quello che Gesù ci ha chiesto di invocare come dono di ogni giorno nel Padre Nostro, che faremo anche stasera; è Il Pane, perché il pane è la vita.

I nostri genitori, i nostri nonni, quando andavano a lavorare, dicevano: “Vado a guadagnarmi il pane”; certamente ricevevano lo stipendio, non ricevevano un chilo di pane come in una sorta di baratto, ma anche il lavoro stesso era pensato come pane: pane per la famiglia, pane per i figli…, e “pane” significa vita, significa anche futuro, significa possibilità di sedersi intorno ad una mensa, di guardarsi, di raccontarsi.

Nella Prima Lettura del Deuteronomio, che è un lungo discorso di Mosè prima di morire e prima dell’ingresso nella Terra Promessa, il grande condottiero dice: “Ricordatevi”, ricordatevi perché il pane è anche memoria, è anche racconto; ricordatevi del percorso che il Signore vi ha fatto porre in questi quarant’anni; ricordatevi dove eravate e dove state per entrare; ricordatevi del Signore, ricordatevi che Egli è il vostro Pastore.

Il pane costa, il pane è l’amore. I gesti d’amore che vi scambiate voi sposati, fidanzati – in maniera diversa, speriamo! – sono il pane, no? Noi cresciamo, le coppie crescono, le famiglie crescono con l’amore; ebbene, questo pane, che noi condividiamo stasera è l’amore di Dio in Gesù ed è ciò che ci trasforma mentre è trasformato; “transustanziazione”, termine difficile per i nostri denti bambini ma che dice la trasformazione del pane nel corpo, del vino nel sangue; mentre è trasformato il pane, siamo trasformati anche noi.

Penso che sappiate che nella preghiera eucaristica qualsiasi formulario contiene due epiclesi, cioè due invocazioni dello Spirito: una sulla specie, pane e vino, perché siano corpo e sangue, ma anche sulla Chiesa raccolta. “Egli faccia di noi un solo corpo” è una invocazione, è un’epiclesi perché noi che mangiamo il suo corpo non possiamo essere divisi. Quando tu abbracci tua moglie, ti senti in comunione con lei?, tuo marito, la persona che ami, ti senti in comunione?; questa comunione è ancora più forte non solo con Gesù ma anche tra noi, cioè voi che siete sposati ricevete dall’Eucaristia una sorta di forza ulteriore nella grazia nuziale; tutti riceviamo una forza che fa rivivere la grazia battesimale, la grazia della Cresima; noi che siamo Ordinati, mangiando questo corpo, riceviamo una conferma: “Tu sei sacerdote per sempre secondo l’Ordine di Melchisedec”; ritroviamo la nostra identità e, mentre mangiamo questo pane, è il pane che ci mangia, nel senso non del divorare, dell’annientare, ma del trasformare. Noi mangiamo il pane ma il pane ci trasforma in pane.

E questo è l’ultimo augurio che vi offro e che dovremmo scambiarci gli uni gli altri oggi: possa tu essere pane e non un pane amaro. “Comm’è amaro stu ppane” dice la canzone napoletana che racconta della difficoltà di un emigrante negli Stati Uniti nel procinto delle feste natalizie. Possa tu essere un pane buono, non un pane amaro. L’amarezza se l’è presa tutta Gesù e ci dà la dolcezza; Lui si è preso il nostro sangue amaro e ci dà il sangue dolce; Lui si è preso il sangue malato e ci dà il sangue sano, è vita.

Vedete queste due lanterne che sono qui sarebbero terribilmente kitsch, se non fossero vere; stanno qui solo perché sono degli alberi, cioè in queste lanterne scorre la linfa; non le avrei assolutamente tollerate, se non fossero una sorta di piccola opera d’arte, di alberi, fatti crescere e potati, e quindi in queste lanterne scorre la linfa, c’è la vita.

Questo deve accadere anche per te e tu sei un pane buono, se mangi il pane, se diventi pane per le persone che ami, per i tuoi figli. E che la nostra Chiesa esca dalla solennità del Corpus Domini, anche monca delle processioni, rafforzata nella fede in questo mistero.

Per questo motivo, alla fine della celebrazione, ma solo per chi lo voglia, faremo non di più, non più di venti minuti, un quarto d’ora di adorazione davanti a Gesù Eucaristia, anche per guardarlo. Perché, sapete, quando una persona vuole bene ad un’altra, la vuole anche guardare, non solo abbracciare, non solo mangiare, la vuole guardare. “Fatti guardare” dice De Gregori in “Bellamore”, fatti guardare!

Ed allora è bello riprendere anche questa consuetudine di andare a guardare Gesù nelle nostre chiese, nelle custodie delle nostre chiese, sugli altari delle nostre chiese, ma anche solo per dirgli “ciao”. Allora questa è una visita al Santissimo Sacramento, diciamo la più breve che ci sia: entro, faccio la genuflessione, dico “ciao” e me ne vado; se poi mi fermo è ancora meglio, ma dire “ciao” significa: “So che Tu ci sei; Tu accompagnami in questa giornata; accompagnami in questa difficoltà, in questa prova che sto attraversando”.

Allora anche la piccola adorazione con cui concludiamo è il modo di guardare Gesù e di farci guardare da Lui.

 

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Trascrizione non ufficiale.