Ti aspetto

Domenica, 11 agosto 2019

Celebrazione Eucaristica

presieduta da Mons. Arturo Aiello – Vescovo di Avellino

Parco della Pace “Giovanni Palatucci” – Avellino     

XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Omelia del Vescovo

 

A conclusione del ritiro di martedì sera sulla Trasfigurazione, in cui avevo parlato dell’adesso, del “frattempo”, uno di voi mi ha detto: “Eccellenza, e poi? E il futuro? Che ne facciamo del futuro?”.

Noi siamo in attesa.

Il Vangelo di quest’oggi parla di futuro, che è l’aspetto caratterizzante della nostra vita e che è la vera difficoltà dell’oggi della fede, del credere oggi, perché tutta la vita dei nostri giovani – ma ormai questa malattia ha preso anche adulti e anziani – è racchiusa nell’attimo fuggente; è come se non si attendesse niente, nessuno, è tutto qui. Invece il Vangelo ci riporta allo sguardo in avanti. Ovviamente, questi vangeli sono anche eco di un disagio che le prime comunità hanno vissuto; sono parole di Gesù, ma sottolineate da una difficoltà. Quale era la difficoltà? Che si aspettava imminente la seconda venuta del Signore e, dunque, i credenti erano con le valige pronte, erano fervorosi, minimizzavano le difficoltà del presente, financo le persecuzioni e la morte. Ma passa del tempo e questa venuta non accade, è rimandata: non adesso, più in là, non quest’anno, l’anno prossimo… Quindi si vive un disagio nelle comunità, che erano protese verso una venuta immediata, ed invece è procrastinata.

Carissimi, l’aver perso questa attesa, da parte nostra, da parte della fede nella Chiesa (non completamente, ma certamente nel vissuto dei credenti), ha evirato la fede che è fede nell’attesa, che non si risolve nel presente. Lo dico con un’espressione che si trova nella vita di tanti santi, ma che viene dal Medioevo: “Tanto è il bene che m’aspetto, che ogni pena mi è diletto”. Secondo alcuni, quest’espressione, prima che assumesse un’altra connotazione sulla bocca dei santi, era tratta originariamente dal repertorio amoroso; infatti, quelli che facevano la serenata sotto la finestra, magari ricevevano delle rimostranze da parte della donna che non si concedeva, ma loro erano testardi e continuavano a suonare, a cantare e ad aspettare, per cui – dice un grande storico del Medioevo, Riccardini – nacque questa espressione: quello che mi aspetta è così grande che sono paziente, anche se mi ha gettato addosso un secchio d’acqua, anche se ho visto cadere sul mio capo un vaso di fiori, perché questa pena è in vista del bene che mi aspetta, cioè che lei mi apra la porta, che lei corrisponda al mio amore. È molto importante questa dimensione, che attraversa la vita dei santi come una passione, al punto che essi sembrano svalutare le realtà immediate, perché sono in attesa di un di più, di un plus, di un magis, che è il Signore, il Signore Gesù.

Questa attesa, oggi, è molto debole.

Tu aspetti qualcuno?

Qualcuno aspetta il tram, qualcuno aspetta un lavoro, qualcuno aspetta un amore, ma pochi di noi, forse, sono in attesa di Gesù. Voi direte che sta già qui, ed è vero, ma lo aspettiamo nella pienezza, e questa attesa deve connotare la nostra vita. Come? La connota nella libertà con cui ci rapportiamo alle cose visibili. E vengo indirettamente a quello che abbiamo ascoltato.

Gesù dice: “Non vi attaccate”. Già domenica scorsa, come ricorderete, c’era un uomo che s’era fatto un mega-granaio e poi riceve un avviso di garanzia, un avviso di morte. Gesù dice di impiegare i nostri beni, di venderli, di darli ai poveri, e di investire per l’eternità, per il futuro. Adesso queste espressioni non dovete prenderle alla lettera; alcuni sono anche chiamati a prenderle alla lettera – sono i religiosi e i consacrati – ma anche se per voi sposati, per voi laici non possono essere realizzati letteralmente, lo Spirito rimane anche per voi. Allora Gesù ci dà un metodo per capire se stiamo in questo atteggiamento, e ci chiede: “Dov’è il tuo cuore?”.

Dov’è il tuo cuore in questo momento?

Io spero che qualcuno di voi dica che è qui, intorno all’altare, magari possibilmente sull’altare, nella patena che tra poco innalzeremo nel gesto dell’Offertorio. Ma molti di noi dovranno dire che hanno il cuore in banca, nel rogito che devono firmare, nell’eredità che si aspettano, in una relazione, in un affetto (senza nulla togliere di bene a queste dimensioni, che non sono di suo negative, ma lo diventano all’atto in cui mi occludono la visuale di ciò verso cui sto andando, cioè l’incontro con Gesù).

Io so stasera di graffiarvi un tantino, ma lo faccio con amore, perché anche nella nostra predicazione parlare del Paradiso, dell’Inferno, del Giudizio, della Morte, non riscuote più tanto “successo”. Molti mi accusano d’essere un necrofilo, che tira la morte sempre in ogni predica, in ogni discorso.

Dove stai andando e dov’è il tuo cuore?

Gesù dice: “Ti dico io, adesso, il tuo cuore dove sta: dov’è il tuo tesoro”. Allora la domanda diventa un’altra: qual è il tuo tesoro? Certamente il vostro tesoro è la vostra famiglia – è una cosa bella, ma non può essere un valore assoluto – il vostro tesoro sono i vostri figli – cosa bellissima, ma non può essere un valore assoluto, altrimenti andate in crisi quando il figlio se ne va, si sposa, prende la sua strada – il vostro tesoro può essere nelle cose, nelle azioni che crollano… Noi stiamo ancora con il fiatone per il crollo delle banche statunitensi, stiamo ancora pagando lo scotto di un crollo; adesso non faccio l’economista, ma Gesù dice che se tu avessi investito nella banca di Dio, saresti tranquillo, perché crollano le banche, si svalutano le monete, le valute, ma rimane chi ha lanciato il cuore in Dio.

Allora dov’è il tuo cuore? Speriamo – l’Eucaristia la celebriamo per questo – che il cuore sia lanciato in Dio, in modo tale che io possa dire: “Sì, è vero, vivo una difficoltà, a volte anche grave… di salute, un tumore, ma tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto”.

 

Oggi, 11 di agosto, anche se non l’abbiamo potuta ricordare e solennizzare, è Santa Chiara.

Com’è iniziata l’avventura di Chiara? È iniziata con una fuga.

C’era una bellissima ragazza, bionda, con occhi azzurri, che tutti i giovani rampolli delle famiglie importanti di Assisi desideravano come loro sposa. La Domenica delle Palme scappa di casa. Tante ragazze e tanti ragazzi scappano di casa, ma questa fuga nella Domenica delle Palme dei primi anni del 1200, non avviene perché Chiara aveva uno spasimante e i genitori non volevano, ma avviene per Gesù. Voi starete pensando – un po’ malignamente – che è scappata per Francesco, e invece no: è scappata per Gesù. I biografi hanno insistito molto sul fatto che, per scappare, questa ragazza non uscì dalla porta principale, perché c’era il guardiano, c’erano i servi, ma uscì per una porta “di malaugurio”, perché si chiamava “porta del morto”. Per non far uscire le bare dalla porta principale, le case gentilizie avevano la porta del morto, che era una porta che si apriva ogni tanto, e dove nessuno voleva passare; non era sorvegliata, e quindi Chiara, per scappare, quella sera attraversò la porta del morto. I biografi hanno ricamato su questo fatto: magari fu una scelta dettata dal fatto che da lì non sarebbe stata inseguita, ma Chiara uscì dalla porta del morto perché quella sera stessa quella ragazza morì. Come sapete, è vissuta per tanti decenni, è sopravvissuta allo stesso San Francesco per tanti anni, ma lasciava dietro di sé un avvenire, delle proposte matrimoniali allettanti. Perché? Perché questa ragazza è scappata? Perché da quella fuga ne sono nate tante altre? Devo riconoscere d’essere stato strumento anch’io, nel mio piccolo, di qualche fuga da parte delle mie parrocchiane e causa di qualche antipatia, almeno iniziale, da parte dei genitori, che vedevano scomparire la propria figlia dall’oggi al domani, e che bussava ad un monastero di Clarisse che si trova ad Orvieto. Ecco come una fuga poi ne genera altre: quando è per il Signore. Certamente Chiara, quella sera, non aveva intenzione di aprire una strada, voleva solo seguire Gesù radicalmente e riteneva che tutti i partiti che le si proponevano non valessero quanto lo Sposo, che è il più bello tra i figli dell’uomo. Quindi, aspettando Lui, ritenne – direbbe San Paolo – “una spazzatura tutto il resto”. Adesso noi non siamo chiamati a questo, però siamo chiamati all’atteggiamento; poi ciascuno di noi lo deve coniugare, lo deve declinare nel suo stato di vita, ma vale l’immagine della fuga nella Domenica delle Palme del 1200, nella notte, per dire che qualcuno scelse l’eternità, rispetto al tempo, scelse Dio rispetto alle creature, scelse il sicuro per l’insicuro che certamente deperisce e che a volte tradisce.

Stasera siamo chiamati a dire: ma io aspetto veramente qualcuno?

C’è un’espressione molto bella di un autore del ‘900 – “il presente non basta a nessuno” – che va proprio a pennello per la domanda che il mio interlocutore mi poneva con molto rispetto, ma con un tantino di criticità, martedì sera. Il presente non basta. Voi siete contenti del vostro presente?, di come va la vostra vita, di come vanno i vostri affetti, di come vivete? Io spero di no, perché ognuno di noi dice: domani sarà un giorno migliore; non ho un lavoro, ma ci sarà; non ho ancora trovato l’anima gemella, ma la troverò; non mi sono ancora realizzato pienamente, ma aspetto questa realizzazione, sono certa che in fondo non la vedo, ma la vedo per fede.

La Seconda Lettura è meravigliosa, perché è un poema sulla fede.

Ci sono tante persone che partono, che si sacrificano, che vivono situazioni di disagio, e l’autore della Lettera agli Ebrei continua a dire, come un ritornello responsoriale: “per fede Abramo…, per fede Isacco…, per fede Sara generò, benché avanti negli anni…, per fede…”. Tutti questi personaggi partirono senza vedere, credettero. Allora anche tu ed anch’io, stasera, dobbiamo credere che in fondo in fondo, anche se non vedo bene, per me c’è una felicità piena e questa felicità non può non chiamarsi Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio, incarnato, morto e risorto per noi.

Beckett, biografo del ‘900, scrisse “Aspettando Godot” per mettere in ridicolo l’attesa di un futuro, da parte dei credenti e non. Più vicino alla nostra sensibilità, se volete, Leopardi nel “Dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggere” dice la stessa cosa, cioè tutti sperano, ma è una speranza di poco conto, è un’illusione. Godot è un Dio che si aspetta, ma che non viene, la cui venuta è sempre rimandata. Noi non siamo quelli che aspettano il nulla, noi aspettiamo una Persona, e questa Persona è la nostra felicità, questa Persona ti abbraccerà e tu capirai che tutte le pene che hai affrontato nel corso della vita sono nulla, rispetto a quanto ti è dato. Paolo lo dice: “il momentaneo, leggero peso della sofferenza procurerà una quantità smisurata ed enorme di gloria”.

Ecco, stasera celebriamo l’Eucaristia per questo motivo. Quindi se ci sono tra voi persone afflitte, perché nel presente sono ammalate, invecchiate, si sentono sole, sono state lasciate dalla moglie, se ci sono persone fra noi – immagino tutti – che si trovano con un pugno di mosche in mano, stasera possono dire: “Sì, è vero, per come è andata fino ad oggi, la mia vita è un fallimento, mi sembra di aver sbagliato tutto, ma Gesù non mi deluderà, Gesù è la mia speranza, ed io l’aspetto con i fianchi cinti e le lucerne accese, con la lampada della fede ardente – celebriamo l’Eucaristia perché la lampada non si spenga – e so che mi darà più di quanto io in questo momento non desideri”.

Noi ci fidiamo di Lui!

Noi ci fidiamo che Egli non ci deluderà!

Ci fidiamo che questo Amante è l’Amore per eccellenza!

È l’Amore da cui si è acceso ogni altro amore, è l’Amore rispetto al quale gli amori che viviamo sono delle caricature (lo dico per quelli tra voi che sono in sofferenza sul piano affettivo). È bello stasera celebrare l’Eucaristia, sapendo che andiamo verso il meglio; il meglio deve ancora venire, è lì in fondo, non lo vedi, ma stasera lo credi, lo credi insieme con me, insieme con questa Chiesa, che celebra l’Eucaristia:“Annunciamo la Tua morte, Signore, proclamiamo la Tua risurrezione, nell’attesa della Tua venuta”. Nell’attesa della Tua venuta: facciamo tutto questo aspettandoTi, perché Tu verrai certamente e sarai più di quanto possiamo immaginare.

Auguri!

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Il testo, tratto dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.