Quanti sono felici?

Domenica, 25 agosto 2019

Celebrazione Eucaristica

presieduta da Mons. Arturo Aiello – Vescovo di Avellino

Parco della Pace “Giovanni Palatucci” – Avellino     

XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Omelia 

 

 

Siamo alla nostra ultima celebrazione al Parco; un’esperienza di cui rendiamo grazie al Signore, perché ha messo insieme una comunità notturna, di tre/quattrocento persone, desiderose di celebrare l’Eucaristia anche nella calura estiva.

Questa sera concludiamo con una Parola dura, quella che abbiamo ascoltato da Gesù nel Vangelo, provocata da una domanda (ce ne sono tante anche oggi, oziose, capziose): “Signore, sono molti quelli che si salvano?”.

Gesù porta subito l’attenzione, come Suo solito, su di te, su di me: tu pensi di salvarti?

Vorrei che ciascuno di noi, stasera, se lo chiedesse: se io dovessi concludere stasera la mia vita, mi salverei? Per quello che ho fatto in questa giornata, per quello che sono riuscito a realizzare di bene negli anni della mia vita, negli anni vissuti, mi salverei?

Carissimi, questa domanda – lo sanno i preti e coloro che hanno un po’ di esperienza pastorale – oggi suona piuttosto vuota. Oggi rischiamo di annunciare un Vangelo senza salvezza.

Voi pensate di dover essere salvati? Per essere salvati c’è bisogno di un pericolo, perché se c’è un pericolo, allora nasce l’esigenza della salvezza; se invece io penso di stare bene con le cose che mi servono, con i miei depositi, con le mie sicurezze, con le mie conoscenze, allora non ho bisogno di salvezza. Questo è il vero nodo dell’evangelizzazione oggi, cioè se tu dici: “Gesù è il tuo Salvatore!”, l’altro ti risponde: “Ma io non penso di dover essere salvato”.

Questa sensibilità, invece, era fortissima nelle generazioni precedenti; i nostri genitori e i nostri nonni facevano della salvezza un motivo di impegno: “Sano e salvo”, dicevano.

I genitori oggi si preoccupano della salvezza dei figli? Piuttosto della loro istruzione, di assicurare loro una certa sicurezza economica (cosa non più possibile), un lavoro (cosa ancora più improbabile), ma uno che metta al mondo un figlio non si chiede: ma questo bambino si salverà? Questo adolescente si salverà? E questo giovane? E mio marito? E mia moglie?

Il pericolo non è la morte, il pericolo si chiama “peccato”; il pericolo si chiama “regno del peccato”, o – come amava dire Giovanni Paolo II – “struttura del peccato”, cioè situazioni nelle quali entriamo e che ci comprimono, non ci fanno respirare; in una parola molto semplice ed immediata: non ci fanno essere felici perché, a differenza di quello che noi pensiamo e della cultura che respiriamo, la salvezza e la felicità coincidono. Quindi “sono molti quelli che si salvano?” si traduce anche con “sono molti quelli felici?”. Io sono tra questi?

Gesù, per rincarare la dose, aggiunge che “la via della salvezza è stretta”, non è una poltrona, non è un aereo, non è una reggia, non è fatta di acclamazioni, di notorietà, di glorie mondane, ma è una porta stretta, che quindi non è amabile, non ci invita ad entrare, mentre le porte larghe sì, i grandi portali sì.

“Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti tenteranno di entrarvi e non ci riusciranno”, perché se c’è una calca, se c’è un’emergenza, se suona la sirena e la porta è stretta, è difficile entrare! Pensate che la porta della basilica di Nazareth è piccolissima per un motivo teologico, forse anche storico: non volevano che si entrasse con i cavalli; inoltre, ci si deve quasi chinare tanto è stretta, come se Gesù ci dicesse che è difficile essere salvi. Immaginate la conclusione dei tempi, quando molti, si sentiranno esclusi (espressione terribile!) e sarà chiusa la porta… Stasera la porta è spalancata, la porta è aperta e ognuno può entrare, ognuno può chiedere perdono, ognuno può essere salvato, ma un giorno questa porta si chiuderà (come la Porta Santa nei Giubilei che, ad un certo punto, si chiude), e quando la porta sarà chiusa, molti si vedranno esclusi e cominceranno a protestare; tireranno fuori i loro tagliandini, i loro gagliardetti, i loro labari – “Ma io facevo parte dell’Arciconfraternita! Io ero in quest’associazione! Io facevo parte di questo club cristiano!” – ma il Cristianesimo non è un club, con un distintivo, con un’iscrizione, con una maglietta che dica “appartenenza”. Molti diranno: “Tu, Gesù, hai mangiato con noi”, ma è come se Gesù dicesse: “Sì, ma voi non avete mangiato con me”.

“Tu, Gesù, hai predicato nelle nostre piazze!”

“Sì, ma voi non mi avete ascoltato”.

Ecco, sono due le illusioni che possono prenderci: una è la presunzione di salvezza. Guai a quelli che presumono di salvarsi! “Io certamente mi salverò!”. E chi te l’ha detto? Quale sottoscrizione, quale assicurazione hai fatto? Quindi attenti alla presunzione di salvezza; invece una santa insicurezza, da questo punto di vista, ci farà sempre bene, perché ci porrà sempre attenti, perché ogni mattina ci farà dire: “Oggi devo essere migliore”, perché ogni sera deve farci dire: “Oggi ho sbagliato in molte cose”. L’altra è la contiguità. Qualcuno potrebbe dire: “Ma io tengo casa mia di fronte alla chiesa”. Sì, questa è una contiguità, ma non è un’appartenenza. Tante persone pensano di salvarsi per contiguità. C’era un’abitudine, nei primi secoli, di seppellire i morti il più vicino possibile ad una sepoltura di un martire, di una persona ritenuta santa, perché si credeva che la semplice contiguità fosse un motivo di assicurazione (quando andremo a Bolsena – i preti andranno a fare una piccola vacanza – vedrete la tomba di Santa Cristina, e tutti facevano a gara per essere vicino a Santa Cristina). Non è la contiguità che ci salva, ma è l’imitazione della vita.

Allora, da stasera dobbiamo prendere la seria determinazione di corrispondere alla salvezza; è chiaro che non ci salviamo noi, ma ci salva il Signore. Sant’Agostino ci ricorda che Dio ti ha creato senza di te, ma non ti salva senza di te, perché non supera, non bypassa la tua libertà.

Quindi vorrei che, da questa celebrazione eucaristica, usciste tutti con il serio proposito di salvarsi, che è già un passo, ma capite che poi, a questo, ne deve seguire un altro: quello di porre in atto gesti di salvezza, gesti che domani mi tornino ad aiuto. È come investire una parte di tempo per la mia salvezza, per la salvezza delle persone a me care, per la salvezza dei defunti per i quali prego in quest’Eucaristia.

Ecco, questa è vita cristiana! Non ci mettiamo il medaglione, non ci mettiamo lo scapolare, non andiamo dietro lo stendardo…! Lo possiamo anche fare, sono anche bei gesti, ma non sono, da soli, gesti che ci salveranno. La stessa partecipazione all’Eucaristia potrebbe essere formale, potrebbe non toccarci, non far palpitare il nostro cuore, e noi restare statue. La statua non è raggiunta dalla Grazia, perché non dice sì alla salvezza. Adesso mi sembra così facile, no? Gesù ci salva e tu dici: “Sì, Signore, salvami!”. Eppure, dire “sì” è difficile, perché noi pensiamo che ci salvino altre cose. I nostri nonni dicevano: Non si va in Paradiso in carrozza, che è la traduzione popolare di questo Vangelo, cioè non è una vita facile, una vita di acclamazioni, di successi, ma irta di difficoltà.

Ne abbiamo fatto esperienza anche nel nostro piccolo questa settimana. Vedete, la nostra vita incontra inciampi continuamente, inciampi di tutti i tipi. In questi inciampi possiamo restare vittime, in questi inciampi possiamo diventare eroi. Prima di venire qui, sono passato per l’ospedale a visitare Tonino, che è il vero eroe dell’esplosione; in un momento drammatico, io posso pensare alla mia pelle ed invece quest’uomo, così semplice e solare, ha detto: “Mi sembrava un’offesa ad un portone, che per noi è un simbolo”, e quindi si è buttato, tentando di scalzare l’esplosivo, allontanandolo, e ne è restato bruciato. Lo raggiungiamo con la preghiera stasera, per dire che anche l’inciampo può diventare occasione per reagire positivamente, e non con la rabbia. Spero che ne abbiamo dato prova, non con il risentimento, ma facendo anche di questo incidente – la vita ne è piena, la vostra e la mia -, un motivo per salire, perché anche le tentazioni sono scale per scendere, ma tu puoi ribaltarle per farne una scala per salire. Questa è sapienza cristiana! Noi in questa fede ci vogliamo radicare. Stasera ciascuno di voi, rientrando a casa e nella propria parrocchia, deve tornarvi con il desiderio di fare sul serio, perché, forse, finora ha giocato con la salvezza, ha preso sottogamba l’unico obiettivo per cui siamo qui.

Siamo qui – dice Sant’Ignazio, ve l’ho ricordato tante volte – “per lodare, riverire, e servire Dio e salvare la nostra anima in questo mondo”. Quest’anima è la salvezza. Allora è inutile che discutiamo: si salvano molti, si salvano pochi, si salvano i bianchi, si salvano i neri … Tu cerca di salvarti, e prega che si salvino anche le persone a cui vuoi bene. Impegniamoci e diamo buon esempio di uomini e donne, che di ogni intralcio sanno fare un’occasione per salire più su.

 

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Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.