Buon Natale!

24 dicembre 2019

Veglia di Natale

presieduta da S.E.Mons. Arturo Aiello

Cattedrale di Avellino

Nell’introduzione ai Promessi Sposi – parto da un punto che sembra non avere attinenza con quello che siamo raccolti a celebrare nella gioia – Alessandro Manzoni scrive il manifesto del Romanticismo e il modo di intendere la Storia in senso romantico; dice che la Storia non è fatta più dai grandi, benché sappiamo che la Storia normalmente sia fatta dai re, dai principi, dai condottieri, dagli eserciti (le grandi decisioni non sono prese certamente dal popolo e dalla povera gente). Ebbene, questo è accaduto nel 1800. Ma milleottocento anni prima, il Vangelo che abbiamo ascoltato, cioè il Vangelo della Notte di Natale, già fa questa scelta, che poi maturerà lentamente nella percezione delle persone, anche di quelle di cultura. Abbiamo un inizio solenne, perché c’è un editto da parte dell’imperatore Augusto, perché le aquile romane governano il mondo intero allora conosciuto, perché la Palestina è una lontanissima provincia romana, e sembra che la Storia vada nella stessa, solita direzione: sono sempre i grandi che decidono ed i poveri che pagano.

Invece avviene qualcosa di straordinario che ci racconta l’evangelista. Siamo nel cuore dell’Evangelo, che ha come primo grande mistero quello dell’Incarnazione e, durante il censimento deciso da Augusto, Dio gioca sulle volontà umane: per i potenti, Giuseppe e Maria devono mettersi in viaggio, Maria è incinta e partorisce per strada. È un caso? Ci sono degli angeli che vanno ad annunziare ai pastori che è successo qualcosa di straordinario a Betlemme e si mettono in moto seguendo un angelo. Poi verranno altri da lontano, addirittura inseguendo una stella.

Voi lo fareste stasera, seguendo un sogno?

Cosa troveranno i pastori? E cosa veneriamo noi con tanta fede, ma anche tanta dolcezza stanotte? Null’altro che una scena familiare: una donna che ha appena partorito e un bambino che si muove, che si attacca al seno, che s’affaccia alla vita. Certamente è una gioia grande, forse tra le più grandi che possano segnare la vita di un uomo, di una donna, che mettono al mondo un figlio, anche se questo figlio non appartiene loro. È una scena quanto mai familiare, eppure in questa scena c’è una rivoluzione che ci fa contare gli anni a partire da quell’evento, ancora oggi, anche per tanti non credenti.

Siamo nell’anno zero (lasciamo stare i piccoli problemi di computo; come sapete, ci sono stati piccoli slittamenti di un po’ di anni). Non siamo a Roma, non a Gerusalemme, non ad Atene, non nelle grandi città, non nei grandi palazzi, ma in una piccola grotta dove questa giovane coppia si è accampata per dare almeno un tetto a questo parto e a questo bambino.

Nasce un uomo. “Natale” significa nascita. La nostra nascita la festeggiamo il giorno del nostro compleanno, ma questa è una nascita speciale, perché è un uomo, ma è anche Dio. È Dio che decide di rimboccarsi le maniche, non in una maniera poetica, e scendere, assumendo la nostra carne greve. Certo, ci sono giorni come questi in cui venite magari con la pelliccia di astrakan, ci sono giorni solenni in cui facciamo anche bella figura, ma diciamo la verità: com’è la nostra vita?, com’è la tua vita?, come sono le nostre giornate?, il tuo lavoro?, la tua famiglia?, le tue attese?, le tue delusioni?

La nostra è una carne greve, pesante, ha dei momenti poetici, s’invetta in certi giorni, ma perlopiù vive una prosaicità di parole, di gesti, di odori, di incombenze cui assolvere, di sveglie che ci tirano fuori dal sonno quando vorremmo ancora dormire, di giorni in cui andiamo a dormire la sera stanchissimi e non tanto per il lavoro compiuto, quanto per una stanchezza del cuore.

In questa carne viene Dio stesso.

“Carne” significa: lacrime.

“Carne” significa: ho fame.

“Carne” significa: solitudine.

“Carne” significa: certe sere in cui non ci sentiamo compresi.

“Carne” significa: essere traditi dagli amici.

Nulla gli sarà risparmiato. Non viene a fare una passeggiata in un grande hotel pentastellato, ma viene ad assaggiare tutti i disagi della vita. Credo che capiti a poche persone, oggi, di nascere in una grotta e per strada, eppure Dio sceglie la strada più difficile. Ci chiediamo: ma perché?

Sant’Agostino, nella Lettura di stamattina, con la genialità che gli è propria, dice: “Tu cerca i motivi, cerca… non troverai null’altro che grazia”. Lo diciamo con le parole del “Tu scendi dalle stelle”, appena cantato: “Ahi, quanto ti costò l’avermi amato!”.

Il Natale è questo: non è il Natale degli scintillii con cui lo abbiamo trasformato, ma è un amore così grande che ha portato Dio in una casa di prostituzione qual è la nostra terra, la nostra società. Si è abbassato: più di questo non poteva. Se dovessi dire: ma può fare qualcosa di più? No, se uniamo questo mistero all’altro con cui fa da pendant, che è la Croce (abbiamo incensato l’immagine del Bambino appena nato e l’immagine del Crocifisso). Poteva fare qualcosa di più? No, no!

 

Davanti a questo, carissimi, anche i cuori più induriti si sciolgono, anche se magari non siamo nelle migliori condizioni stasera, anche se siamo reduci da un cenone, e forse è rimasto tutto sullo stomaco, anche se non è proprio il Natale al top… Raffaele piangeva mentre cantavamo “Tu scendi dalle stelle”, e sappiamo bene perché: è il primo Natale senza la moglie. Il primo Natale senza la moglie, senza il marito, senza un figlio, prova a viverlo, perché quelli sono Natali da cancellare se si potesse… Invece no, è Natale, Raffaele! Il Natale è qui, nelle tue lacrime, nel dolore, nel disagio di tanti. Davanti a questo annuncio, ci viene da dire: ma allora sono importante, anche se sono un pezzente?, allora sono importante, anche se sono un traditore?, allora sono un santo, anche se sono un peccatore?, allora posso salire sui tremila, anche se faccio a stento le scale di casa? Lo possiamo dire perché questa venuta ci salva e ci lancia in alto, perché Lui vuole portarci da dove è venuto, cioè in Cielo.

Questo è il motivo – così semplice, ma oggi anche così sconosciuto – per cui la nostra Cattedrale, anche tutte le chiese di Avellino della nostra Diocesi dovrebbero essere strapiene, per dire: io questo annuncio non voglio perdermelo, perché mi darà la forza di vivere tutto quello che ancora m’aspetta da bere di questo calice amaro se, alla fine, scopro che tutto quello che è umano è divino.

Tutto questo viene attraverso un bambino. Poteva arrivare nella sua gloria, poteva arrivare già adulto, invece sceglie la strada più inerme, ma anche quella che incute meno paura, perché a volte noi abbiamo paura di Dio, paura che ci schiacci, paura che ci tolga un grado di libertà, paura che ci condanni. Invece la manifestazione di Gesù infante, di Dio Bambino, ci disarma: un bambino è impotente, ha bisogno di tante cose, ha bisogno d’essere preso in braccio, ha bisogno d’essere cullato, ha bisogno d’essere baciato… Noi stessi, se abbiamo un minimo di equilibrio, è perché, da bambini, abbiamo ricevuto questi messaggi. Quando siamo nati, siamo stati sbaciucchiati fino all’inverosimile, ce li abbiamo sulla pelle i baci ricevuti, come dei timbri, a dire: tu sei importante! Ecco, anche Dio sceglie questa strada, ed è commovente, mi viene voglia di convertirmi stanotte, non solo: mi viene voglia di dire a qualcuno, che sta disperandosi, che questo bambino così piccolo è Dio, ed è il Salvatore. Se tu entri nel Suo sorriso, sei già in Paradiso.

Buon Natale, carissimi!

Oltre le difficoltà che possiamo vivere nella nostra vita – ascoltatemi bene! -, anche oltre tutti i nostri peccati, Lui ha già pagato, Lui è venuto per guarirti, basta che tu togli la tua pelliccia di astrakan, il tuo meraviglioso cappotto e dici: guarda sotto il cappotto, sotto la pelliccia, ti mostro le mie piaghe; non voglio vestirmi per fare bella figura con Te, Gesù, perché tu sei venuto come medico ed io voglio che la tua manina mi tocchi e mi guarisca.

Un pensiero va a tutti i nostri defunti, ed anche alla moglie di Raffaele, perché questo Bambino ha aperto un varco nel buio della loro morte, come aprirà un varco nel buio della mia morte. Quindi state tranquilli, sereni, ed anche al pranzo di domani date questa tonalità religiosa: mangiamo perché celebriamo la vita, la vita che ci è stata ridonata nel Bambino.

Ecco, un Bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio, ma questo figlio è anche Padre, questo Bambino diventerà potente, viene a pagare per me. Grazie! Ahi, quanto ti costò l’avermi amato!

 

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Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.