Dacci la vista di un’aquila

Polo Giovani – Diocesi di Avellino

IV Domenica di Quaresima / A – 2020

Celebrazione Eucaristica presieduta dal Vescovo Mons. Arturo Aiello

 

Saluto iniziale

 

Entriamo con questa celebrazione nella IV Domenica di Quaresima sono state pensate queste domeniche come delle stazioni che ci avvicinano alla Pasqua. Iniziamo con riconoscenza nei confronti del Signore che ci tiene in vita, che ci conferma il dono della fede e tutte le altre grazie, e ci permette di celebrare, sia pure in maniera indiretta per tanti di voi, i Santi Misteri, per cibarci almeno della Parola che illumina i nostri passi. E, per celebrare più degnamente questi Santi Misteri, riconosciamo i nostri peccati.

 

Omelia del Vescovo

 

Vi anticipavo già domenica scorsa che queste tre domeniche, che precedono quella delle Palme, costituiscono un trittico, intorno a tre temi che la Chiesa antica utilizzava per preparare i catecumeni a ricevere il Battesimo la Notte di Pasqua: l’acqua, ed era domenica scorsa, la luce, questa domenica, la vita domenica prossima.

Il brano che avete ascoltato, anch’esso architettato in maniera mirabile, da un punto di vista di drammaturgia, vede in campo tante persone che danno valutazioni diverse di un fatto; il fatto è semplicissimo ed il Vangelo potrebbe concludersi dopo pochissime battute. Gesù è a Gerusalemme e vede un cieco nato, spalma del fango con la saliva, lo pone sugli occhi del cieco e gli dice: «va’ a lavarti alla piscina di Siloe». Ed avendolo fatto, il cieco non rivede ma vede, per la prima volta, la luce. Un miracolo, come ce ne sono tanti nel Vangelo, ma che qui Giovanni drammatizza in una maniera particolarmente forte, mettendo in campo i curiosi, i passanti, i capi, i genitori, e questo cieco, ex-cieco, che non fa altro che continuare a dire: “ma io non ci vedevo, adesso ci vedo”, a dire un fatto, “un evento”, direbbe don Giussani, incontestabile, che interroga e che invece deve essere letto in maniera distorta; genera curiosità, pettegolezzi, ma anche giudizi.

Non è facile, sapete, vedere. “È meglio non vedere” dice anche il testo di una canzone: “che cosa vuoi sapere? È meglio non sapere, è meglio non vedere”.

E perché, in maniera paradossale sarebbe meglio non vedere? Perché, vedete, le persone vivono con le loro sicurezze perlopiù false e vorrebbero che nulla si spostasse nell’ordine che hanno sul loro tavolo, sulla loro scrivania, nella loro vita; e guai a toccare, a smuovere un elemento, che si crea un terremoto!

È il caso di questo cieco che la gente ha sempre visto come mendicante alle porte del Tempio in un cortile, e questa realtà sempre uguale in qualche maniera dava sicurezza; a volte anche i poveri ci danno sicurezza, ma purtroppo, dal nostro punto di vista, restando nella loro povertà, nella loro cecità.

“Quieta non movere…” dicevano gli antichi, cioè non bisogna cambiare niente, continuiamo come abbiamo fatto fino ad oggi; ma ecco che vengono eventi, come quello che stiamo vivendo, drammaticamente, che sconvolgono anche l’ordine internazionale, anche quella legge che sembrava essere purtroppo la legge fondamentale, che è quella economica. Intervengono dei fatti a scombussolare le nostre false certezze perché possiamo entrare in vere incertezze.

Questo brano, che è nel Vangelo di Giovanni, riceve una parola dal prologo: «veniva nel mondo la luce vera», «ma le tenebre non l’hanno accolta». E quindi è intorno a questo dramma, una sorta di lotta tra tenebre e luce, che si conia e si ricama questo miracolo, ed  il suo racconto che Giovanni ne fa.

Noi non vediamo, non vediamo bene; nella Prima Lettura non vede bene neanche il Profeta su chi debba succedere a Saul, chi debba essere il nuovo re. Anche il Profeta è attirato dalla prestanza degli altri figli di Iesse e non si accorge che sono solo apparenza, sono solo palestrati, sono solo muscoli, magari neanche veri, ma gonfiati con additivi; ed invece Dio guarda il cuore.

È questo il rimprovero che Dio fa al Profeta: “Non guardare all’apparenza, l’uomo guarda all’apparenza, Dio scruta il cuore!. E quindi ci sono modi superficiali di leggere la realtà nelle sue vicende, nei suoi drammi, e c’è un modo profondo, e noi siamo chiamati ad entrare in questo modo nuovo di vedere che – attenti – non riguarda la vista, ma riguarda una visione, una visione.

C’è una visione in questo momento?, c’è una visione del nascere e del morire?, di una tempesta, di una epidemia, di una pandemia?, c’è una visione in cui inserire tutto quello che ci accade? Credo che sia l’interrogativo più serio; certamente ci auguriamo tutti di uscire indenni e festeggiare la fine di questo problema; ma, sapete, ne arriveranno altri, ed allora non è tanto importante capire: “ma che sta succedendo adesso?”, ma inserire tutto quello che accade in un orizzonte più ampio, che si chiama visione.

È rischioso, come ci racconta il Vangelo, è rischioso perché? Perché gli altri, se tu entri in questa visione, che ovviamente ti offre Gesù, nella comprensione dei cieli e della terra, del passato, del presente e del futuro di questa vita e della vita eterna, rischi di perdere i tuoi amici, rischi di perdere i riferimenti che normalmente animano e sostengono la tua vita, al punto che potresti essere tentato di fare un passo indietro e di ritornare nella cecità, nella normalità, nella vita così come la conducono tanti.

Credo che questa oggi sia la vera difficoltà dei cristiani, quando si impegnano a vivere in pienezza la loro fede: avere il timore d’essere diversi, perder il consenso popolare, il consenso degli amici, il consenso dei conoscenti, addirittura il consenso dei familiari. Questo cieco che non ha mai visto, che la prima cosa che ha visto, ed è quella che dovremmo vedere anche noi, è il volto di Gesù, incappa in tante incomprensioni, anche i suoi genitori; vale per quest’uomo, all’atto in cui anche i genitori scansano la difficoltà, non difendono il figlio.

L’espressione del salmista: «Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato ed il Signore mi ha raccolto», quindi abbandonato dai genitori, abbandonato dai conoscenti, abbandonato dalla sua religione. E qui c’è un contrasto che l’evangelista Giovanni espone in una maniera mirabile, perché quelli che avevano la visione della fede, di Mosè, e prima ancora di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, pian piano vanno degradando nella cecità, nelle tenebre, mentre quest’uomo, che era nelle tenebre fin da bambino, pian piano accede alla luce, e gli chiedono di Gesù, e dice: “Non lo conosco”. Ed alla fine la pagina del Vangelo si conclude in questo incontro, dopo che lo hanno espulso dalla sinagoga: «Tu credi nel Figlio dell’Uomo?» Ed il cieco, guarito, risponde: «E chi è Signore perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto, è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore», e si prostrò dinnanzi a Lui. Questo è il punto di approdo del vangelo. Quindi quelli che ci vedevano, diventano ciechi, e quelli che erano ciechi, entrano nella luce. Nella luce che non è la luce degli occhi, ma è la luce della fede.

Ho assistito, quando ero giovane prete, ad un dibattito in una sala, come questa, molto più lussuosa, a Sorrento, dove centinaia e centinaia di persone sentivano parlare Muccioli, non so se ricordate il fondatore di San Patrignano. Uscii da quell’incontro veramente straziato, perché? Perché Muccioli, sul tavolo da conferenziere, raccontava la sua esperienza: tanti giovani che si stavano perdendo attraverso l’itinerario, la comunità, che io ho fondato a San Patrignano, nel contatto con la natura, recuperando un ordine della vita, sono guariti, ed invece in assemblea tanti: “Eh, però lei…, le leggi…”, cioè ebbi – mi venne in mente proprio questo brano – ebbi la sensazione della solitudine di quest’uomo, che però diceva: “ma io ne ho salvati mille”, ma per le persone, perlopiù uomini di legge, avvocati, valeva più, forse, la norma, rispetto ad una possibilità di redenzione per tanti, che chiamavano Muccioli il loro padre, no?, perché li aveva salvati.

Ciascuno di noi deve prepararsi all’incomprensione, lo vediamo anche nei giovani che si avvicinano di più alla fede, quelli che intraprendono una ricerca più approfondita sul piano : trovano nei genitori, negli amici, nei conoscenti i primi oppositori, a dire; “ma tu venivi alle feste con noi, tu facevi le nostre stesse cose, tu tornavi a casa alle quattro di mattina, tu forse hai anche fumato…” “ma adesso sono cambiato”, ed il giovane in questa condizione può essere anche tentato di tornare indietro e dire: “Ma allora se non mi conoscete più, pur di ricevere il vostro affetto, torno ad essere quello di prima”. Ovviamente il cieco nato ha il coraggio di difendere il miracolo e soprattutto questa relazione che comincia ad approfondirsi con Gesù, rispetto a tanti che si allontanano, scuotendo il capo.

Cosa chiediamo in quest’Eucaristia? Chiediamo il dono di una visione. Non guardiamo solo i fatti; non guardiamo solo questi giorni, non guardiamo solo quello che sta accadendo ora, ma cerchiamo d’avere una visione ampia che includa tutto, vita e morte, vita-morte-vita, ed includiamo in questa visione anche i fatti drammatici di questi giorni, e chiediamo a Gesù: “dacci questa visione, facci vedere quello che non riusciamo a vedere, siamo delle talpe, dacci la vista di un’aquila, non riusciamo a districarci, tienici per mano”. Non a caso abbiamo pregato il salmo 22: «Il Signore è il mio pastore: / non manco di nulla; … se dovessi attraversare in una valle oscura, / non temerei alcun male, / perché tu sei con me, Signore».

Ho visto in una parrocchia della nostra diocesi, passando, che il parroco ha messo fuori, a porte chiuse, ha messo un Crocifisso con l’espressione: “Non temete, Io sono con voi”. Ecco, questa deve essere la fede che deve sostenerci in questo momento.

***

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.