Ritiro di Pasqua (4)

Ritiro di Pasqua – 4

 

Dal Vangelo di Giovanni 12, 20-28

                                                               

20Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. 21Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 22Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. 24In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. 26Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. 27Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! 28Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».

 

“La festa dei folli” – la chiamava così un poeta statunitense degli anni ‘80, Harvey Cox – si conclude con la stessa facilità con cui è iniziata. Scende la sera, anche la nostra meditazione si pone sul far della sera, è il momento del raccoglimento ancora più forte perché l’abbassarsi della luce aiuta anche la concentrazione a capire che cosa conta veramente. Ed è in questa ambientazione che si svolge questo dialogo interessante che come tante cose, che sono nei racconti immediatamente precedenti o anche all’interno delle narrazioni della Passione, rischiano d’andare perdute.

Sono saliti a Gerusalemme anche alcuni Greci, quindi alcuni Ebrei diciamo di lingua greca che, avendo sentito parlare di Gesù, si rivolgono a Filippo con una espressione, con una richiesta commovente: Vogliamo vedere Gesù”. Se la chiedessero a noi, se la ponessero a noi questa domanda, cosa diremmo? Può nascere da una curiosità, anche i grandi incontri, i grandi amori a volte nascono da uno sfiorarsi, una congiuntura astrale complicatissima. Se chiedessero a me: “Dicci di Gesù”, dove li indirizzerei? In quale parrocchia? Da quale prete? In quale gruppo? In quale associazione? Li porterei in una chiesa? Li porterei in una delle tante esperienze di servizio che la fede genera?, perché la carità è la fede fatta opera, fatta gesto.

È un interrogativo importante che deve intrigarci in quest’ultimo momento della nostra disamina, sia pure semplice, sul capitolo 12 del Vangelo di Giovanni.

Vogliamo vedere Gesù.

Attenti che questa invocazione attraversa tutta la Bibbia. Già nell’Antico Testamento c’era questo desiderio di vedere Dio, di vedere il suo volto. È in qualche maniera vietato anche all’amico per eccellenza di Dio che è Mosè, per cui nei Salmi, nel salterio tante volte troviamo questa espressione: “Il tuo volto, Signore, io cerco, fammi conoscere il tuo volto”.

È un moto che nasce dalla curiosità, dal desiderio di sapere di più? È la voglia di intrattenere una relazione o semplicemente è un tasto da pigiare sul nostro PC per poi immediatamente cliccare un altro programma?

Il problema oggi è che Gesù è diventato, nel supermercato delle credenze, delle fedi, un elemento. Molte persone vivono anche una sorta di sincretismo religioso prendendo di qua e di là. E qui la richiesta dei Greci, immaginate anche che siano persone un po’ lontane, ci provoca: “Ma tu Gesù lo vuoi vedere? Ma tu Gesù lo vedi?” Non mi riferisco a visioni, state tranquilli, cioè “hai questo desiderio e come lo coniughi? Come lo declini? Dove lo incontri?” Intanto Filippo sente questo interrogativo troppo pesante per sé solo ed allora si rivolge ad Andrea, a dire: “Ma questi hanno chiesto…” spesso nel Vangelo i discepoli fanno da intermediari, soprattutto nei momenti di festa, nei momenti di gloria dopo l’una o l’altra moltiplicazione dei pani, ma adesso probabilmente Filippo ha capito che da solo non sa parlare di Gesù, allora lo dice ad Andrea.

È bello questo particolare perché dice che da soli noi Gesù non lo vedremo mai, ma che c’è bisogno di una comunità, di un gruppo, di un’associazione, di una parrocchia. Tu riconosci d’appartenere ad una comunità dove Gesù si renda presente?

Nei racconti della Risurrezione, nello stesso Vangelo di Giovanni a Tommaso che è assente dalla comunità Gesù non si rivela. Tommaso deve ritornare alla comunità per incontrarlo per poter toccare le sue piaghe. Allora da un lato c’è questa richiesta, dall’altro il peso e la percezione che questo peso debba essere condiviso perché Gesù dice: “dove sono due o più”. I due, e mi riferisco a tanti di voi che forse state ascoltando, lo spero, marito e moglie  però è difficile che un marito ed una moglie preghino insieme. Questo “due o più” riguarda la vostra coppia che diventa un luogo, adesso lo dico con una parola difficile, “epifanico” di Gesù cioè di rivelazione, e poi con la vostra famiglia, con i vostri figli e poi con il parroco e poi con il gruppo a cui facciamo riferimento. Noi aiutiamo gli altri ad incontrare Gesù perché Gesù lo incontriamo nel racconto; il racconto non è solo il racconto dei Vangeli ma anche il racconto delle nostre vite. La passione spero che in qualche maniera sia trapelata anche attraverso queste riflessioni, queste della giornata di Ritiro, ma anche quelle sui Sentieri Quaresimali, vissuta leggendo insieme il Libro di Tobia, spero che anche dalla mia povera persona, dal vostro povero vescovo sia emersa questa passione di vederlo e di condividere la fede, perché la fede è vera solo se è condivisa, se è raccontata, se ascoltiamo il racconto di un altro, quello che Gesù ha fatto nella mia vita, quello che Gesù ha fatto nella tua vita, e da questo puzzle di tante voci, di tante persone, di tanti cuori, di tante sensibilità, di tanti tagli culturali, da questo puzzle, messo insieme, viene il volto del Signore. Mi sembra di leggere così questa condivisa responsabilità: Filippo lo dice ad Andrea, e poi tutti e due, facendosi forte l’uno dell’altro, vanno a dirlo a Gesù. Gesù rispose – spesso nel Vangelo le domande che pongono a Gesù hanno delle risposte che sembrano non avere nessuna attinenza – Gesù rispose: “È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’Uomo”.

Ma che c’entra con il desiderio dei Greci? E con questa intercessione di Filippo e di Andrea? A dire: “Voi volete vederlo? Lo vedrete, ma lo vedrete in quest’ora”, è l’ora che Maria ha invocato a Cana, in qualche maniera ha anticipato con la sua materna intercessione, è l’ora solenne che attende Gesù, verso cui muove tutta la sua vita. È quest’ora, è questo momento in cui a Gerusalemme stanno per compiersi le Scritture.

E poi c’è questa bellissima similitudine, il versetto 24: “In verità, in verità vi dico – quando Gesù ripete due volte significa attenti, è una sorta di evidenziatore –, se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, se invece muore produce molto frutto”. Di chi parla Gesù? Parla di sé e cioè ecco l’attinenza di una risposta apparentemente fuori tema con la domanda: “Vogliamo vedere Gesù”.

Ebbene, lo vedrete all’atto in cui sarà solo, marcirà nella morte, come il chicco nella terra, nel solco, produrrà molto frutto ma passando attraverso una difficoltà enorme: l’abbandono da parte vostra, da parte dei suoi, la condanna, la Crocifissione, la Morte. Allora per vedere Gesù, se un bambino dovesse dire stasera: “A te, mamma, fammi vedere Gesù”, spero ce ne sia uno nella tua casa, portalo davanti al Crocifisso. Stiamo facendo questa meditazione davanti a questa immagine che mi accompagna in tante Quaresime, mi ha accompagnato in tante Quaresime della mia vita, è un’opera di uno scultore di Ortisei, un po’ fuori dei canoni classici, dove il Cristo è contorto, piegato dal dolore, è quasi crocifisso ad una roccia, perché ha rubato il fuoco agli Dei, perché ci ha portato la salvezza. Ed allora vuoi vedere Gesù? Eccolo, è il chicco di grano che è caduto in terra. Sembra perduto, ma questa perdita vale più di mille successi, questa sconfitta vale più di mille vittorie. Gesù noi lo vediamo qui, adesso non qui in questa rappresentazione, né in qualsiasi altra delle croci che giganteggiano nelle nostre chiese, e speriamo anche nelle nostre case, ma soprattutto nei nostri cuori, quanto in ciò che questi segni ci ripresentano e cioè l’Uomo dei dolori, Colui che conosce il patire, lo Sconfitto; noi siamo i seguaci di un Condannato, di un Disperato, di un Uomo Dio, di un Dio Uomo, sconfitto, ma questa sconfitta è la vittoria che vince il mondo, dice Paolo, la vostra fede ma la fede in questo Dio, e Paolo è così certo che dice: “I Greci con la sapienza e gli altri vogliono dei segni ma io non ho voluto sapere altro in mezzo a voi che è Gesù Cristo e Questi Crocifisso”.

Dobbiamo puntare gli occhi alla Croce in questi giorni e non solo in questi giorni, dobbiamo consumare gli occhi guardando Gesù, imparando da Lui, perché quello che vale per Lui, vale anche per noi.

Certamente questa similitudine del chicco è riferita a Lui in prima battuta ma subito dopo anche a te, a me, a noi, infatti aggiunge: “Chi ama la sua vita la perde, chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna”. A dire: “Vuoi vincere?” Noi gasiamo i nostri figli facendo loro del male, dicendo: “Devi essere il primo, devi essere vincente”, in realtà forse l’educazione più vera dovrebbe essere quella di insegnare loro a perdere, perché a vincere, sapete, siamo bravi tutti e non c’è bisogno di insegnare ad una persona come si vince, cosa si fa quando si vince, come si esulta … ma quando si segna il passo, ma quando c’è un cancro, ma quando la persona che ami t’abbandona, ma quando hai fatto il bene e viene letto in maniera negativa, ma quando tutti t’abbandonano, ma quando crolli in depressione, ma quando viene una malattia, ma quando stiamo nel cuore di una epidemia, addirittura di una pandemia, allora è difficile, e questo chi ce lo ha insegnato?

Dice il testo di una canzone: “Vivere, nessuno ce lo ha mai insegnato”, perché forse per insegnare a vivere bisogna insegnare a perdere. Sarà così difficile la ricostruzione quando si riapriranno le frontiere, speriamo presto, ma che fatica a rimettere su pietra su pietra in ogni aspetto della nostra vita sociale e credo anche ecclesiale, eh, dopo questo lungo silenzio che ci è stato imposto dovremo ridare questo criterio. Se veniamo da una sconfitta perché verremo nella sconfitta, lo siamo già, siamo stati messi in ginocchio in una maniera impietosa; noi che pensavamo d’essere gli arrivati della Storia dell’umanità. Ripartire significherà ripartire da questa percezione che la sconfitta è la più grande vittoria.  Forse, e ce lo auguriamo, quello che abbiamo vissuto a carissimo prezzo potrà portarci una nuova sapienza perché è una nuova arte di vivere.

Allora torniamo a Gesù che pende dalla Croce. Sempre nel Vangelo di Giovanni Gesù dice: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”, cioè nel momento della massima abiezione.

La Croce è un Libro da leggere. Tu lo sai leggere? Tu sai seguire con il ditino come facevi quando eri bambino per non perdere il rigo, mettendo insieme le sillabe.

Vi lascio questi versi di Turoldo, bellissimi, che mi hanno commosso per anni e anni. Dice il poeta, rivolto a Gesù: “Dall’alto della Croce tu mi guardi /con occhi che fanno del mio cuore/ un lago di pianto”. Dall’alto della Croce … “Gesù ricordati di me quando sarai nel tuo regno. Signore, salvaci”, lo diciamo ad uno sconfitto. E Turoldo dice: “Dall’alto della Croce mi guardi con occhi…” perché questa ripetizione? Forse si può guardare anche in altra maniera? Ma  l’attenzione del poeta è fissata, zoomata sugli occhi del Crocifisso, “che fanno del mio cuore un lago di pianto”, è la risposta del credente che dice: è per me, che dice: “Non ho altro da offrirti che le lacrime della mia compassione”.

Ci avviamo verso la fine e non solo di questa meditazione ma di questa giornata,  abbassiamo anche le luci per rendere la nostra preghiera più raccolta, a volte la luce piena, per questo la sera è un momento provvidenziale per la preghiera, la luce forte ci abbaglia e ci illude, invece, quando scendono le ombre, quando viene la sera siamo più veri perché riportati alla nostra condizione di uomini nudi, di gente inerme che può fare compagnia al Povero della Storia: Gesù, il Crocifisso.

 

Concludiamo davanti al fuoco perché è un segno sempre evidente, la Veglia Pasquale ce l’avrà come primo segno, il fuoco nuovo, il fuoco che Mosè ha visto nel roveto che ardeva e non si consumava; il fuoco è stata la grande rivoluzione della vita umana perché ha trasformato lo stile di vita sulla terra; il fuoco che diventa segno e sacramento della presenza di Dio. “Se il chicco di grano caduto in terra  non muore rimane solo” vale anche per la legna che mettiamo nel fuoco. Dice il Maestro Eckart, un autore medioevale, che il ceppo nel fuoco all’inizio scoppietta, è il segno del monaco alle prime armi, del credente non ancora maturo, ma quando poi entra nella fiamma e si lascia avvolgere dalla fiamma diventa silente, cioè abbassa le difese, non resiste più al fuoco ma diventa fuoco esso stesso; e dunque questa immagine di Gesù trova nel fuoco che arde ed ardendo si consuma una immagine ulteriore del chicco che caduto in terra rimane solo, accetta di morire, accetta di essere trasformato in cenere, rinuncia a tutta la sua prosopopea, quando era verde, quando a primavera fioriva, quando metteva fuori le foglie nuove, come vediamo nei nostri noccioleti in questi giorni, rinuncia a tutto e s’abbandona alla morte, questa morte diventa vita perché è luce, è calore, è colore, è possibilità d’essere trasformati perché il fuoco trasforma ogni cosa.

 

Ed allora vorrei che concludessimo, formulando qualche preghiera, un po’ io, un po’ Don Christian che ha condiviso con me questa dolce fatica. Cosa chiedere a Gesù per noi, per quelli che, pazientemente, ci hanno ascoltato, seguito in questi quattro passaggi, forse per alcuni vivendo in assoluto la prima esperienza di ritiro. C’è voluto il coronavirus per metterci in preghiera. Ovviamente da casa ciascuno di voi potrà formulare qualche preghiera, noi diamo solo avvio, diamo solo inizio. Il Signore è qui, lo abbiamo seguito nella Parola, nell’esperienza dell’unzione di Betania, nella gloria organizzata dai piccoli, nell’ingresso in Gerusalemme e adesso in questa scena conclusiva del chicco che per produrre frutto deve accettare d’essere solo e marcire.

Ci rivolgiamo a Lui con la semplicità dei piccoli e gli diciamo: “Signore, ascolta la nostra preghiera”.

Signore, ascolta la nostra preghiera.

 

Attraverso  questo strumento abbiamo raggiunto tante persone di cui non vediamo il volto. La difficoltà per il vescovo in queste trasmissioni è di parlare senza avere un feeedback di sguardi, però penso che tanti siano anche angosciati, visitati dal dolore, attraversati da tante prove e quindi chiedo al Signore che questa Pasqua porti forza non tanto per vincere, quanto per perdere.

Signore ascolta la nostra preghiera.

 

 Invocazione di Don Christian

 

Signore Gesù, ora che il sole tramonta vogliamo pregarti davanti a questo fuoco con molta umiltà. La legna da sola non si accende: c’è bisogno di una scintilla, di una fiamma, così siamo noi, così sono io oggi, così è il mondo; su questa legna accendi il tuo fuoco, riaccendi  la fiamma, un roveto ardente dentro di noi, nella parte insondabile del nostro cuore. Siamo noi questa legna intrecciata a forma di croce e una preghiera la lanciamo per quelli che stanno inchiodati su un letto, in ospedale, che sono come il chicco di grano che non può uscire ancora fuori, che è bloccato, che è nel buio. Ecco, una preghiera per loro, per noi, per il mondo che trema; la Pasqua è la vita che rinasce, e stiamo aspettando con ansia questa luce, questa grazia, questa vita, preghiamo:

Signore, ascolta la nostra preghiera.

 

Invocazione del Vescovo

 

Un verso dello Stabat Mater, una sequenza medioevale  con il dolore di Maria recita: “Fac ut ardeat cor meum”. Fa’ che il mio cuore arda. Vieni, Signore, con la tua grazia e visita i nostri cuori freddi, algidi; falli ardere come ardevano da bambini a Natale, a Pasqua, nella preghiera, entrando in chiesa; riscalda il nostro cuore infreddolito, donaci la tua grazia, il tuo perdono, la speranza che possiamo farcela, nonostante i nostri fallimenti, ti preghiamo: Signore, ascolta la nostra preghiera.

 

Don Christian

 

Facciamo un’altra preghiera per quei volti delle persone che ancora non possiamo vedere, ma se scendiamo nel profondo del nostro cuore, ecco lì incontro il tuo, le persone che voglio bene; che possiamo essere anche noi delle sentinelle, gente che è presa da un amore che non sa stare senza amare, forse non possiamo toccarci, ma l’amore sa come raggiungere l’altro. Il Signore ci doni anche semplicità, fantasia per raggiungerci, per agganciare il cuore dell’altro e che nessuno si possa sentire mai solo; forse eravamo soli prima della quarantena, forse eravamo malati prima del coronavirus, non stavamo bene e il Signore adesso faccia verità e ci faccia sentire insieme, uniti anche nella preghiera, sotto il manto di Maria, preghiamo:

Signore, ascolta la nostra preghiera.

 

Il Vescovo

 

Con l’abbraccio della sera, con l’abbraccio della Madre, che Don Christian ha evocato,  recitiamo insieme il Padre Nostro con la fiducia che il pane non mancherà, la forza non mancherà se noi glorifichiamo il Suo Nome ed invochiamo che venga quel Regno, iniziato sul legno della Croce e nel sepolcro vuoto, nella pietra sbalzata via dalla vita che non muore, ma vuole vivere e ci chiama alla Vita.

Diciamo insieme:

 

Padre nostro…

 

Benedizione del Vescovo

 

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