Ritiro di Pasqua (3)

Ritiro di Pasqua – 3

 

Dal Vangelo di Giovanni 12, 12-19

 

12Il giorno seguente, la grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, 13prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando:

«Osanna!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore,
il Re d’Israele!».

14Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto:

15Non temere, figlia di Sion!
Ecco, il tuo re viene,
seduto su un puledro d’asina.


16I suoi discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di Lui erano state scritte queste cose e che a Lui essi le avevano fatte. 17Intanto la folla, che era stata con Lui quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti, gli dava testimonianza. 18Anche per questo la folla gli era andata incontro, perché aveva udito che Egli aveva compiuto questo segno. 19I farisei allora dissero tra loro: «Vedete che non ottenete nulla? Ecco: il mondo è andato dietro a Lui!».

 

Ci siamo lasciati in tarda mattinata con la scena dell’unzione di Betania e con questa voglia che spero d’avervi trasmessa non io ma Gesù, di impiegare la vostra vita sprecandola. Altrove Gesù dice: “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà e chi la perderà per me e per il Vangelo la troverà”, a dire che la vita più ce la teniamo stretta più ci sfugge di mano, più la doniamo e più la sprechiamo, la sperperiamo, per cose grandi, beninteso, più è nostra. Ieri mi hanno fermato, è successo diverse volte in questi giorni: non avendomi sulle prime riconosciuto, quelli del servizio d’ordine, ho accostato: “È lei Eccellenza, e dove sta andando?” Ho risposto: “”Sono appena andato a comprare un po’ di droga”. “Come un po’ di droga?”, ha inarcato le sopracciglia l’agente; “Sì, ho detto, un po’ di droga”, erano queste orchidee che ero andato a ricuperare, perché, vedete, l’aspetto estetico della vita è importante quanto quello etico. Ho improntato la mia vita, e vi trasmetto questo messaggio, a partire da un proverbio giapponese, che dice: “Se hai due pani, danne uno ai poveri, poi vendi l’altro e compra dei giacinti per saziare la tua anima”. È simpatico perché noi ci aspetteremmo: “danne uno ai poveri e l’altro lo mangi tu”, invece il proverbio dice che l’altro pane va venduto per comprare dei fiori. Devo confessare, e credo che questo mi accomuni, spero, anche a tanti di voi, che all’apertura dei sali e tabacchi avrei preferito che ci fosse anche quella dei fiorai, e non è uno spot pubblicitario per cui mi hanno pagato, perché i fiori, il bello, la bellezza, ciò che è inutile sostiene e sostenta la nostra vita.

Adesso continuando la nostra lettura, ringrazio Don Christian per l’amore con cui canta la Parola di Dio, veniamo alla scena dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme; è come se Gesù avesse preso fiato, forza, si fosse rimotivato nella casa degli amici a Betania, ricevendo una ulteriore conferma di ciò verso cui sta andando dall’unzione di Maria, ed allora si avvicina alla città che negli ultimi tempi è stata scottante per Lui, era meglio stare alla larga, se n’è tornato in Galilea che è il luogo dell’infanzia, della giovinezza. Adesso si decide a varcare la soglia della città: è come uno dei tanti pellegrini che ci sono stati in precedenza, a migliaia e di quelli che ancora ci sarebbero stati e che con le parole del salmo 121 dicevano: “Esultai, quando mi dissero:  / Andremo alla casa del Signore. / E ora i tuoi piedi si fermano / alle tue porte, Gerusalemme!” Ecco Gesù è dinnanzi ad una delle porte: è la sua città, è la città di Davide, è la città che era stata data a Davide per lui ma per un suo discendente, questo discendente, Gesù, che adesso vi entra non accolto, va verso la Passione. Ma c’è una festa improvvisata da parte dei poveri che commuove e che è l’ultima carezza fatta a Gesù in questa vita. Dice il testo che abbiamo ascoltato che “una grande folla venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui, gridando: Osanna!” È l’uscita che il popolo nella storia di Israele ha, e non solo per Israele, nei confronti dei liberatori; va incontro con rami, con canti di festa per accogliere coloro, colui che ha salvato la nazione, la città. E gridano: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”

Fermiamoci un attimo a guardarla questa scena. Tra l’altro nella liturgia delle palme viene proclamata ma subito in qualche maniera cancellata dal racconto della Passione. È una piccola scena di gloria, un piccolo momento di festa familiare, non pensate a grandi folle ma ad un gruppo di poveri che con mezzi umilissimi si impegnano ad accogliere il loro Messia, anche se è un Messia, essi non lo sanno, che va verso la Croce. Gli stessi che adesso gridano “Osanna” tra qualche ora grideranno “Crucifige”.

È così cangiante il cuore dell’uomo, “il cuore dell’uomo chi lo conosce”, dice il salmista e più vicino a noi il Manzoni dice: quando Fra Cristoforo dice, sempre alla fine della Notte degli imbrogli: “Il cuore mi dice che ci rivedremo presto” ed annota Manzoni: “Il cuore? Che ne sa il cuore? sa appena quello che è accaduto un attimo fa”.

Ma torniamo a Gerusalemme e lasciamoci coinvolgere da questa festa. Da chi è organizzata? È organizzata dai poveri, perché forse i poveri sono gli unici che sanno far festa. Se visitiamo i Sud del mondo, vi troveremo sempre un comune denominatore, che forse a noi manca ed è la gioia. I popoli del Nord, ma adesso qui non è un Nord geografico ma è il Nord della sazietà, sono perlopiù tristi, frigidi, rigidi, irrigiditi nei loro abiti ed invece, pensate al Sud America, all’Africa, ma anche al nostro Sud, rispetto al Nord Italia, al Sud c’è sempre aria di festa, c’è sempre un motivo per una fanfara, c’è sempre motivo per far festa; c’è il gusto della vita. Stranamente il gusto della vita lo conservano i poveri e non i ricchi, gli umili e non i potenti, quelli che non decidono nulla rispetto a coloro che siedono nella stanza dei bottoni.

“Osanna! Gridano. Benedetto colui che viene nel nome del Signore”.

È un’espressione che troviamo tante volte nella Bibbia, nei Salmi, il saluto dato al liberatore, il saluto dato al Messia. Gesù entra anche nella tua casa in questi giorni, in questa Settimana Santa, devi accoglierlo, devi riconoscere che “Colui che viene” non viene da sé ma è mandato dal Padre.

Allora facciamo anche noi umilmente questa piccola liturgia di festa. Ieri tra l’altro non abbiamo neanche potuto agitare i nostri rami d’ulivo o di palma alla benedizione, c’è stato vietato da questa Pasqua “coronata” anche questo. Ricordo l’emozione da parroco all’atto in cui si saliva su un poggetto dove nella mia parrocchia all’aperto si faceva la benedizione delle Palme vedere una marea di persone ed all’atto in cui il sacerdote benediceva i rami c’era un agitarsi di festa, di colori … “Ricordi”, starete pensando, torneremo a viverli l’anno prossimo con l’aiuto di Dio, ma quello che è importante adesso è agitare i rami di palma del nostro cuore dicendo anche noi: “benedetto” cioè dire “benedetto Colui che viene nel nome del Signore” è dire: “Sì, ti riconosco, sei Tu, sei l’Atteso, ti aspettavamo, perché ci hai fatto aspettare tanto?”

 

Canto: Benedictus qui venit in nomine Domine

 

Accogli anche tu Gesù nella tua vita, fallo entrare. Il Papa Giovanni Paolo II, adesso santo, iniziò il suo pontificato con quel grido programmatico: “Aprite, spalancate le porte a Cristo”. Gesù non viene a prendere, non viene a derubarti di nulla ma viene ad arricchirti. Se capissimo questo anche tanta nostra difficoltà, tante nostre prevenzioni, rispetto alla fede, si scioglierebbero come neve al sole. Guardiamo anche gli atteggiamenti di queste persone che stendono i mantelli, che cercano nella loro povertà di rendere il benvenuto al re d’Israele. Sarà la scritta che troveremo sulla Croce come una sorta di documento di condanna: “GESÙ, RE DEI GIUDEI”. Come vivono quest’accoglienza? Agitando le palme e quindi è il mondo vegetale che fa da cornice a questo ingresso e poi stendendo i mantelli. Nel Vangelo il mantello è l’unica ricchezza dei poveri, e quindi immaginiamo che stendere il mantello, come Bartimeo, quando Gesù lo chiama, il cieco che dev’essere guarito, è rinunciare all’unica ricchezza che abbiamo; stendere i mantelli è anche rinunciare alle nostre dignità, togliere l’anello e metterlo ai piedi di Gesù, come fanno i vegliardi nella liturgia dell’Apocalisse che si tolgono le corone d’oro e le gettano ai piedi dell’Agnello, dicendo: “Tu solo sei il re, Tu puoi prendere il Libro e aprirne i sigilli”.

Ma è anche la festa dei bambini. Importante questo particolare che l’iniziativa viene, sì, presa dai grandi ma trova grande accoglienza tra i piccoli; ed allora è importante in questa Pasqua riscoprire il bambino che eri quando dipingevi le uova – mi riferisco a quelli della mia generazione che non conoscevamo le uova di cioccolata – , a te che facevi i rami fioriti, che leggevi la letterina a Pasqua con il ritornello classico, le campane squillano a festa, con le mille promesse che facevamo ai nostri genitori, puntualmente non mantenute.

Il bambino che è in noi, speriamo non del tutto sommerso da grettezze, vuole fare festa e vuole incontrare Gesù e lo riconosce perché è la fede dei bambini che salva il mondo, è la presenza dei bambini che rende il mondo amabile. Tagore dice in una sua poesia che “Ogni bambino che nasce è il segno che Dio non si è ancora stancato dell’umanità”.

Allora questa pagina di Vangelo sia anche il modo per riscoprirci bambini, vorrei farlo insieme con te in questa maniera. Questo ovviamente per i bambini che eravamo noi di una certa età.

 

Canto: Carissimo Pinocchio…

 

In questa stessa dimensione dell’infanzia mi viene in mente una canzone dello Zecchino d’oro, anche questa un po’ datata. È la scena della sera, dei bambini che non vogliono andare a dormire. Lo dice anche De Gregori in “Generale”, lui lo riferisce al Natale quando i bambini piangono e non vogliono andare a dormire.

 

Canto: Quando è l’ora di fare la nanna…

 

Ricordi che non servono solo ad una dimensione nostalgica, romantica, ma che risvegliano il bambino che è in noi, che vuole fare festa, che vuole fare festa con poche cose, che non ha bisogno di grandi platee, di grandi palcoscenici ma nella sua semplicità sa riconoscere chi gli vuole bene, sa riconoscere Gesù. Allora questa festa organizzata dai piccoli dove i bambini tirano i genitori, succede anche nelle nostre parrocchie, dove i più piccoli riescono a convincere i più grandi ancora così compassati: “Benedetto Colui che viene nel nome del Signore, Osanna!”

Anche questa festa di straccioni, fondamentalmente è così, dai giornalisti ed ai reporter delle reti televisive di Gerusalemme dell’epoca viene guardata con sospetto. E dicono a Gesù: “Falli tacere, perché tutto questo assembramento?” È una parola esplosiva in questi giorni, non bisogna creare assembramenti, e Gesù risponde: “Se tacciono loro, grideranno le pietre”. Un’espressione molto forte di condanna rispetto alla pietra che è il cuore di questi osservatori ma anche rispetto alle pietre sante della Città, colme di storia ma anche colme di attesa.

 

Alcune indicazioni per la preghiera in questo terzo momento.

Accogli Gesù nella tua vita. Accoglilo così come viene. Tu vorresti che venisse da trionfatore a risolvere i tuoi problemi, anche quelli del coronavirus. Tu vorresti che Gesù fosse il prestigiatore che trasforma i sassi in pane, che si lancia dal pinnacolo del Tempio e cade giù accompagnato dagli angeli … ma Gesù viene in altra forma.

E qui c’è un messaggio molto importante nel nostro testo ed è l’utilizzo dello strumento che Gesù sceglie per questo ingresso. Dice il testo che “montò su un asinello”. Adesso per noi questo non dice nulla ma all’orecchio attento del conoscitore dell’Antico Testamento rievoca delle profezie dove il Messia sarebbe venuto cavalcando un puledro, figlio d’asina, perché nella Bibbia c’è questa grande contrapposizione tra gli asini ed i cavalli. Prima di dartene spiegazione, tu ti ritieni un cavallo o un asino? Il salmista dice: “Il Signore non fa conto del vigore del cavallo, dell’agile corsa dell’uomo”. I cavalli perlopiù sono un simbolo dell’Egitto, delle potenze che sono intorno ad Israele, che hanno delle macchinazioni ed hanno degli strumenti particolarmente sofisticati. Invece l’asino è il segno dell’umiltà, l’asino che Gesù cavalca è il trono del Signore che noi accogliamo cioè del Dio semplice, povero, impotente.

Sto per dirti una cosa esplosiva, mettiti comodo sulla poltrona, potresti riceverne un colpo: il nostro non è un Dio potente, il nostro, quello che Gesù ci ha insegnato a guardare e ad amare nella sua Persona, nello specchio che Egli è del Padre è un Dio povero, è un Dio che non interviene, è un Dio che subisce, è un Dio che va incontro alla Croce. E questo a noi fa molta difficoltà perché noi vorremmo uno che venisse a risolvere i nostri problemi. Gesù risolve un problema radicale per te, che è la morte definitiva; gli altri problemi che ci assillano sono di poco conto. Anche la nostra salute.

Potresti essere tu – e spero che tu non avverta questo come un’offesa – potresti essere tu l’asinello su cui Gesù sale, cioè uno strumento semplice. Il vescovo stesso che ti sta parlando è un asino. Quando eravamo piccoli l’asino era la massima ignominia nelle nostre classi e quindi andare in giro con le orecchie d’asino era l’ignominia più grande che si potesse fare ad un bambino delle elementari. Poi, leggendo la Bibbia, ho scoperto che gli asini sono quelli che vincono, che gli asini sono quelli che Gesù sceglie. Un vescovo francese, quando io ero giovane, scrisse una lettera che aveva questo titolo: “Tiro avanti come un asino”, perché gli asini portano la soma, gli asini con la loro umiltà ci salvano, quindi metti da parte la tua alterigia, la tua superbia di cavallo che confida nella sua forza, nella sua virilità, nella sua potenza, e scegli questo strumento umile che Gesù sceglie, perché alla fine la cavalcatura ed il cavaliere sono una sola cosa. L’asino non è solo colui che sorregge Gesù e lo rende visibile a questa banda di scalmanati che non hanno da mangiare ma è Gesù stesso, è lui l’Asino che porterà nei prossimi giorni la soma che ci salva, la sua Croce.

Allora impegniamoci a scegliere strumenti umili ed a presentarci senza prosopopea. Io stesso ho improvvisato al pianoforte, senza essere un pianista, e magari vi ho fatto sorridere e questa dimensione un po’ di giullare che mi appartiene e che ho imparato da Lui, il Giullare per eccellenza, alla cui scuola da tanti anni sto.

 

Ed allora l’assegno è:

Mi ricordo di me bambino, vado a cercarmi qualche foto per ritrovare l’entusiasmo che avevo e che forse ho perso per fare festa, guardo la foto della mia Prima Comunione per vedere com’ero preso da Gesù, mentre oggi sbadiglio in chiesa durante la Messa. E poi guardo Gesù che entra in Gerusalemme, accolto dai piccoli, da ciò che è piccolo, da ciò che in me ancora è piccolo e non vuole crescere e forse è bene che non cresca.

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Il testo non è stato rivisto dall’autore.