Pasqua di Risurrezione 2020

Pasqua di Risurrezione 2020

Duomo di Avellino

Celebrante Mons. Arturo Aiello

 

Saluto iniziale

 

È il saluto del Risorto alla sua Chiesa. A noi, pochi, che siamo qui in cattedrale, ai tanti che ci seguite dal teleschermo e che siete raggiunti a porte chiuse, come usa fare il Risorto, ormai libero da ogni vincolo, siete raggiunti da questo saluto, il saluto alla Chiesa, forse ancora vestita in gramaglie, ancora con gli abiti del lutto, non ancora convinta che la Risurrezione sia un fatto, un evento irreversibile nella sua luce, nel suo bene, nel suo futuro. Dal giorno di Pasqua la Storia ha preso un altro corso, che noi ne abbiamo coscienza o meno, ed in questo mistero vogliamo affondare con riconoscenza gli occhi del cuore, ringraziando il Signore che viene a tirarci fuori dai nostri sepolcri di paura. E per poter celebrare più degnamente questi Santi Misteri nel giorno solennissimo della Pasqua, confessiamo umilmente i nostri peccati.

 

Omelia del Vescovo

 

Sono duemila anni e più, carissimi fratelli e sorelle, che la Chiesa educa i suoi figli a sillabare questa Parola esplosiva, rivoluzionaria, come una parola d’ordine che ha sconvolto l’ordine della Storia, delle cose, dei tramonti, della morte: Pasqua.

Ci viene dalla tradizione ebraica e significa “passaggio”; è il passaggio dei pastori probabilmente, che facevano delle danze saltando per prepararsi alla transumanza alla fine dell’inverno, all’inizio della primavera e verso la bella stagione; è il passaggio degli Ebrei attraverso il Mar Rosso nell’epopea della notte della liberazione, è il passaggio di Gesù dalla morte alla vita, nel passaggio della Chiesa, da una dimensione di tristezza e di angoscia ad un canto di gioia che quasi rasenta la follia. La follia dipende dal fatto che noi non riusciamo ad immaginare ciò che questa parola contenga. Non la dimenticate voi che ci state seguendo da casa. Se dite “Pasqua” al momento della morte, la morte non sarà più morte. Dobbiamo imparare questa parola come un codice segreto che aprirà anche l’oscurità del sepolcro. Il Risorto soffre di claustrofobia; anche noi, per la verità, da un po’ di tempo, e speriamo d’essere liberati anche noi da questi ambienti chiusi nei quali respiriamo a fatica; e non ci sta a lungo, appena ci soggiorna per mettere in ordine le bende e lasciare tutto a posto, ma poi sceglie gli ampi spazi dove dare appuntamento ai suoi. Se devo confessare un desiderio, vorrei andare al mare, ma forse passerà ancora del tempo; e qui dico “mare” per dire grandi orizzonti, rispetto a quelli cui siamo allo stretto, allo stretto non solo degli spazi ma anche del cuore.

Ebbene, il Risorto dice: “Vieni, ti do appuntamento in un luogo aperto”. Forse alcuni di noi, quando si apriranno le frontiere, passeranno la notte a dormire nei campi, in riva al mare, proprio per prendere una boccata di libertà. Ebbene, questa libertà – la nostra sarà transeunte, sarà passeggera, sarà di un giorno, di una settimana, di anni – questa libertà ti è assicurata in pienezza oltre ogni tua immaginazione nella Risurrezione di Gesù.

 

Abbiamo ascoltato il Vangelo di Giovanni che ci parla di un cambio di rotta di Maria che va al sepolcro, come noi, addolorata, perché è venuto meno il Maestro; perché colui che ci aveva promesso la felicità è stato vittima di un complotto. Ma la donna s’imbatte in una novità che la sconvolge e corre e poi corrono anche Pietro e Giovanni.

Il Vangelo della Pasqua e la marcia della Pasqua sono una corsa, perché lentamente si fanno i cortei funebri ma la Pasqua richiede questa agilità delle gambe ma ancora di più del cuore per correre.

Pier Paolo Pasolini nel “Vangelo secondo Matteo”, in bianco e nero, racconta in maniera puntuale la Pasqua attraverso questo correre dei discepoli che scavalcano bancarelle, che stravolgono panieri, perché ritengono ogni ostacolo di poca importanza rispetto all’appuntamento che il Risorto ha dato ai suoi.

Anche se non ci possiamo muovere, noi corriamo con il cuore. E dove corriamo? Corriamo incontro a colui che ci libera, non Mosè ma Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio incarnato ti libera dalla schiavitù e ti porta all’aria aperta e ti porta in cielo; ti porta nel giardino, vi dicevo Venerdì Santo, vi porta, ci porta in Paradiso.

 

Il buon ladrone, nel racconto di Luca della Passione, si rivolge a Gesù come a chiedergli solo un ricordo, una cartolina: «Gesù, ricordati di me quando ritornerai nel tuo regno». E Gesù gli dice: “No, oggi, oggi stesso, non una cartolina, ma verrai con me, sarai con me in Paradiso”.

C’è un appuntamento, “Paradiso” non è un luogo, “Paradiso” è una situazione estatica, è l’amore, finalmente sciolto da ogni vincolo, da ogni restrizione, da ogni strettezza, strettoia del cuore. “Paradiso-Pasqua” è questo stare insieme, sapendo che nessuno più andrà via, nessuno più morirà, insieme per sempre. Noi vivremo il sacramento della mensa pasquale come una sorta di promessa. Quando siederete a mensa, accendete una candela; il capofamiglia faccia una benedizione, aspergendo con l’acqua, che il vescovo ha benedetto di qui ieri sera, nei vostri bicchieri, nei vostri contenitori , nelle vostre fontane…, ma quella mensa è sacramento di una convivialità che ci sarà data pienamente alla fine. È sacramento perché finirà, perché ad un certo punto dovremo alzarci da tavola e dire: “Anche il pranzo pasquale è finito”, ed invece siamo invitati ad una convivialità dove potremo abbracciarci per sempre, vivi e defunti, a qualsiasi secolo apparteniamo, e dire e dirci: “Staremo insieme sempre!”

“L’uomo è solo sulla faccia della terra, travolto, trafitto da un raggio di sole ed è subito sera” scriveva Quasimodo nel ‘900, e questo è ritenuto il verso più bello del secolo breve, dove affondano le radici di tanti di noi. Ebbene, questo verso così bello ma anche così triste dobbiamo dire a Quasimodo non è più vero, non lo è mai stato, neanche quando lo hai scritto perché Gesù era già Risorto, e dunque c’è un giorno senza tramonto.

“Sfolgora il sole di Pasqua” dice l’Inno delle Lodi nella liturgia e nel Tempo Pasquale, a dire che c’è un giorno che non avrà fine, un giorno che non conoscerà addio, che non conoscerà tramonto, un giorno dove si va di luce in luce, di gloria in gloria.

E torniamo ai nostri due che corrono, ovviamente con andature diverse perché è diversa l’età; voi pensate che Giovanni arrivi per primo perché va in palestra, perché è più giovane, perché ha il fiato più lungo, in realtà arriva prima perché è il discepolo dell’amore, perché l’amore arriva sempre per primo, l’amore taglia il traguardo.

E questo lo diciamo innanzitutto per Gesù che ha tagliato il traguardo perché è Colui che ha amato i suoi amici, fino a dare la vita per loro, per noi. Arriva ma è rispettoso dell’autorità che in qualche maniera già si riconosce a Pietro e lo aspetta, guarda ma non entra; dev’essere Pietro, il Papa, ad entrare per mettere il suo sigillo, per autenticare questo evento stupendo e rivoluzionario e meraviglioso che è la Pasqua del Signore, che si fonda su un vuoto, su una tomba vuota.

“Maria, chi hai visto sulla via?” abbiamo ascoltato nella Sequenza perché anche Maria è messa per via, tutti fuori dagli ambienti, tutti fuori anche dai templi, per andare incontro al Signore sulle strade. “La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo Risorto, gli angeli, suoi testimoni, il sudario e le sue vesti. Cristo, mia speranza, è Risorto e mi precede in Galilea”; e poi è come se la Chiesa entrasse in una coralità e risponde: “Sì, ne siamo certi, veramente Cristo è Risorto!”.

 

Ci accade, carissimi, di sperimentare ancora il limite e la morte. Lo dicevo tra le righe stanotte [nella veglia pasquale] e adesso in maniera un po’ più chiara lo esprimo attraverso un esempio che un autore, un teologo fa. Ricorderete, nella Seconda Guerra Mondiale, quando non c’era la comunicazione in tempo reale, come ora, che s’erano già stipulati i Trattati di pace, era già finito tutto, ma c’erano ancora alcuni drappelli che lontanissimo combattevano ed avevano ormai poche munizioni e dicevano:”Domani moriremo”; e finalmente, dopo tanto penare, arriva qualcuno a dire loro: “Ma guardate che la guerra è finita!”; non lo sapevano, era accaduto da mesi ma le notizie andavano molto lentamente. Pensate che anche la morte di Napoleone raggiunge Manzoni dopo mesi e scrive “Il Cinque Maggio” e quindi questa notizia che arriva, ed allora questi mesi, in cui ci siamo sentiti perduti, abbiamo sperimentato la morte, la disperazione, sono stati inutili perché era già tutto risolto, la pace era già scoppiata!

Ecco, questa è la nostra condizione. Noi ci troviamo ancora in questo tratto dove non c’è ancora giunta la notizia ed allora combattiamo contro il coronavirus, contro le altre avversità, contro l’egoismo, contro i nostri peccati, ma qualcuno viene a dirci: “Ma guarda che quello che stai vivendo è vero, ma è già risolto; questo debito lo soffri ma è già pagato; di questo peccato senti il peso ma è già perdonato; questo dolore ti sembra oscuro ma è già aperto”. E se c’è un verso del ‘900 che possa esprimere la Pasqua al meglio, è forse la poesia più sintetica, dobbiamo chiedere ad Ungaretti di raccontarci “Mattino”, è il titolo, “M’illumino d’immenso”.

Questa è la Pasqua!, è questo mattino dove ti raggiunge una luce oltre le tue facoltà visive, una luce più grande del contenitore dove a te sembra di volerla racchiudere, ma ti sommerge, ti veste di corona e di gloria, ti lancia come un corpo luminoso verso una costellazione di angeli, di santi, di gloria.

Buona Pasqua, Buona Pasqua a tutti!

Buona Pasqua a voi che resistete negli ospedali, nelle corsie, e che siete in qualche maniera anche voi annunziatori della Pasqua, come Maria di Magdala, come Pietro e Giovanni; continuate a correre perché alcuni rischiano di disperare e dite agli ammalati: “Tu sei già guarito, tu sei già perdonato, tutto è già stato pagato e risolto”, siate annunciatori di questa gioia.

È il fulcro della nostra fede, carissimi!, perché dice Paolo: “Se Cristo non è Risorto, è tutto vano, è tutta una impalcatura, è una religione”, ma la nostra è una fede che ha certamente fenomeni, fenomenologie religiose, ma è una fede che sconvolge ogni ordine ed ogni catalogazione concettuale della religiosità solo umana.

Ed allora chiediamo al Signore di approdare a quest’oceano di pace e di luce che è Pasqua e diciamo “P a s q u a”, come imparano a farlo i bambini, sillabando, sapendo che se c’è una speranza e c’è, che è in questa Parola, affidala ai tuoi figli, ai tuoi bambini, agli anziani, a quelli che sono preoccupati, angosciati, a quelli che stanno dietro le sbarre di questa clausura e ne vogliono uscire.

“Pasqua” è la bandiera che sventoliamo, per dire: “È già tutto fatto, siamo già liberi, siamo già guariti, siamo già santi”. E grazie a Te, Gesù, nostro liberatore, che ci hai ottenuto questo giorno, di cui abbiamo la cittadinanza, anche se per mesi, per anni, per secoli ne siamo ancora lontani; non ci duole questa distanza di tempo, che sono gli anni della nostra vita, perché sappiamo che si tratta di un piccolo lasso di tempo e poi capiremo che ciò che abbiamo nel segreto del sacramento celebrato era vero. I nostri morti si abbracciano tra loro e fanno festa e danzano e vorrebbero scuoterci, a dire: ma perché siete ancora tristi? È tutto vero! “Cristo, mia speranza, è Risorto e vi precede in Galilea. Sì, ne siamo certi, Cristo è davvero Risorto; Tu, Re Vittorioso, donaci la tua gloria e la tua pace”. Amen!

 

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Il testo non è stato rivisto dall’autore.