II Domenica di Pasqua

Diocesi di Avellino

II Domenica di Pasqua / A

Dalla Cappella del Polo Giovani

Celebrazione Eucaristica

Presiede Mons. Arturo Aiello

 

Saluto iniziale

 

Con la Domenica in Albis la Pasqua giunge a maturazione. Tutta questa settimana è stata Pasqua ogni giorno, siamo nell’Ottava. Domenica in Albis, perché era la settimana che poi giungeva alla Domenica in cui coloro che erano stati battezzati nella Notte di Pasqua andavano in giro portando l’abito bianco. Idealmente, spiritualmente, questo abito lo portiamo ancora tutti, è l’abito del Battesimo; non sempre in maniera integra, ci sono delle macchie, ci sono degli errori nel nostro cammino; ne chiediamo perdono per poterla ricevere nuovamente candida.

 

Omelia del Vescovo

 

La Domenica in Albis fa da cerniera tra questa lunga settimana di Pasqua, lunga e gioiosa, anche se questa gioia non abbiamo avuto modo di esprimerla in pieno quest’anno, con il Tempo Pasquale che ci porterà fino a Pentecoste, questi cinquanta giorni, per capire?, impossibile, per guardare la Pasqua da varie angolazioni, per declinarla.

E la prima declinazione della Pasqua l’abbiamo proprio qui nella Domenica in Albis e nell’appuntamento consueto, annuale, con i discepoli, prima senza e poi finalmente con la presenza di Tommaso. Intanto mi va di sottolineare che il Vangelo si apre con: «mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli».

È un riferimento ad un luogo di ritrovo: alcuni dicono il Cenacolo, anche se non è espressamente dichiarato; ma come non vedere anche chiuse, sprangate, le nostre porte ormai quasi da due mesi, chiusi in questo cenacolo che a volte ha il chiarore della Pasqua, altre la dimensione del carcere?

Gesù attraversa le porte, Gesù ci raggiunge nelle nostre lontananze, nelle nostre solitudini, nei nostri isolamenti più o meno voluti, questo certamente solo subìto, ma dobbiamo avere attenzione a leggere i segni di Dio anche nelle cose che ci accadono.

Le apparizioni avvengono sempre il primo giorno della settimana; con otto giorni di distanza abbiamo una sorta di doppia immagine, doppio racconto dove il Risorto viene in mezzo alla comunità. La comunità, la Chiesa, è il tema che attraversa tutte le Letture di questa Domenica, è il tessuto connettivo della Parola di Dio di oggi.

Intanto, come accade in tutti i racconti della Risurrezione, Gesù, per certificare la sua identità, mostra l’aspetto più fragile. La tessera di identità del Risorto sono le piaghe delle mani, dei piedi, del costato: «mostrò loro» dice il testo, come anche negli altri racconti, a dire: “Sono Io, sono proprio io, sono Colui che hanno crocifisso ma sono Risorto!”.

Quindi le piaghe fanno da elemento di unione, da trait d’union tra il Crocifisso ed il Risorto; ma già qui una prima indicazione per le nostre comunità, quella familiare, che abbiamo riscoperto – speriamo non in maniera esasperante – in questi due mesi. E la prima diciamo sottolineatura è che la comunità non si fonda sulla forza: chi comanda, chi è il più importante, chi ha il carattere più forte, ma sulla debolezza. Lo dicevano anche gli antichi nella mitologia greca che l’Amore è figlio di Poenia, è figlio di Povertà cioè riescono ad amare e fanno una comunità d’amore solo coloro che sanno incontrarsi nel limite proprio e dell’altro e degli altri.

Quindi vediamo in queste piaghe, che ovviamente non sono dolorose, quelle del Risorto, ma luminose, gloriose, un’indicazione per le nostre piaghe. Una coppia, una famiglia, un gruppo, un’associazione, anche la Chiesa, non è fatta di uomini forti.

“Considerate la vostra vocazione, fratelli – dice Paolo -: non ci sono in mezzo a voi molti sapienti, persone danarose, importanti, ma Dio ha scelto ciò che è ignobile per confondere i forti”.

Ed allora la prima annotazione: abbiamo il coraggio delle nostre piaghe; anche di questa piaga che stiamo vivendo, di cui porteremo i segni a lungo; una volta che si saranno riaperte le frontiere ci verrà la tentazione di dimenticare; e invece dovremmo ricordare perché in questi due mesi abbiamo capito tante cose che non vanno abbandonate; si comprende molto di più nella necessità che nell’abbondanza.

Ed allora guardiamo anche noi le piaghe del Risorto e diciamo: “Sei Tu, sei proprio Tu, Signore”. Tra l’altro solo Giovanni ha potuto vedere con gli occhi, gli altri hanno raccolto dei racconti e quindi più e più volte si sono lasciati implicare da racconti di ciò che avevano fatto al loro Maestro, fino alla Crocifissione e Morte.

Adesso è con loro, è in mezzo a loro; anche in questo momento Gesù è al centro della sua Chiesa, della nostra Chiesa di Avellino e ci saluta con l’augurio: “Shalom, pace, pace a voi che siete tormentati; vi raggiungo con la mia presenza, pacifica e pacificante”; ma questo essere comunità non è fine a se stesso perché i discepoli ricevono anche un mandato: “Ricevete lo Spirito Santo, ci sono peccati da…, guardate le mie piaghe ma ci sono altre piaghe, vedete il mio costato aperto ma ci sono tanti cuori sanguinanti a cui vi mando”. Quindi abbiamo già qui una sorta di missio, di invio dei discepoli, che debbono raggiungere gli estremi confini della Terra; quindi, proprio nel momento della maggiore intimità – finalmente ti abbiamo!, il pericolo è sempre quello di voler incapsulare, trattenere Gesù – in questo momento ecco che si aprono degli orizzonti, delle vie dove bisogna andare con la forza del suo Spirito e con il dono del perdono dei peccati.

 

Il dono della Pasqua è la liberazione dalla morte ma anche da ogni forma di morte ed il peccato rientra tra queste; ma ecco che nella conta, nella foto di gruppo, nel selfie che Gesù Risorto fa con i suoi discepoli ne manca uno – c’è sempre qualcuno che manca, anche alle nostre mense, anche ai nostri appuntamenti, anche alle nostre feste, anche ai nostri dolori -: è Tommaso.

Attenti che questa pagina, questo racconto in due scene – una sorta di bifora nei Vangeli della Risurrezione – non è per condannare e tirare le orecchie a Tommaso, che è stato incredulo, ma nuovamente per mettere a tema che il Risorto non lo incontriamo da soli. Dov’era Tommaso? Si possono fare le ipotesi più strane, il Vangelo è sempre stringato, qualcuno addirittura ha ipotizzato che si fosse ritirato in una sorta di vita eremitica,  in un intimismo di preghiera; anche se Tommaso fosse in una giornata di Ritiro Spirituale, Gesù non lo incontra.

E quindi torna questa grande catechesi della Chiesa primitiva, che leggiamo nell’ordito di questo brano, ed è: “Se tu sei con gli altri, se tu sei nella Chiesa, tu incontri il Risorto; fuori non c’è possibilità anche se tu ti dovessi ritirare da solo in preghiera sulla cima di un monte”.

Inutilmente i fratelli, gli amici raccontano a Tommaso l’incontro che hanno avuto, egli rimane ancora ancorato al Crocifisso e, probabilmente, anche all’amarezza che gli viene dal sapere che non è stato capace di seguire Gesù fino in fondo, ma ecco che Gesù è paziente con tutti, anche con tuo figlio che in chiesa non ci va da tanto tempo, anche con i tuoi nipoti che sembrano folleggiare in tante maniere ma non hanno tempo per la preghiera e per il Signore.

C’è un appuntamento per tutti che Gesù stabilisce, ed otto giorni dopo è presente, finalmente, anche Tommaso. Si è convertito al Signore? Vi sembrerà riduttivo ma si è convertito alla comunità del Signore, è ritornato all’ovile, ai fratelli, a coloro che con lui hanno condiviso questo lungo cammino di Gesù verso Gerusalemme; e davanti a questa scena, che si ripete nuovamente, le porte sono chiuse, nuovamente il Risorto appare in tutta la sua gloria e con i segni sul suo corpo glorioso, i segni delle piaghe, Tommaso precipita in una gioia ma anche in una confusione; Gesù dice: “Puoi, puoi…”

Noi dobbiamo utilizzare la nostra incredulità; quelli che sono troppo sicuri, a volte prendono delle cantonate enormi, ed allora dubitare fa parte della fede, quindi non è un rimprovero sul dubbio della fede ma è un rimprovero per chi si allontani dalla Chiesa; e la sua confessione, nella confusione d’amore per aver ritrovato il Signore e la sua famiglia, è: «Mio Signore e mio Dio!».

Quando noi eravamo piccoli, ma mi riferisco a quelli vecchi come me, al momento dell’elevazione, a partire dalle nostre catechiste superaccessoriate, c’era una sorta di grido, ma sottovoce in tutta la chiesa e le persone dicevano “Mio Signore e mio Dio!”.

È importante questa espressione; secondo alcuni è una antichissima confessione di fede: “Mio Signore e mio Dio!” È importante questo aggettivo possessivo: mio Signore, mio Dio, perché Gesù è Signore anche senza di te, senza il tuo assenso, e Dio è Dio anche se tu non lo riconosci. Allora la fede è anteporre al sostantivo Dio, Signore l’aggettivo “mio”, non nel senso possessivo del termine ma nel senso affettivo, cioè, finché Dio non è il mio Dio e il Signore non è il mio Signore siamo ancora così lontani, siamo in una fede solo intellettuale.

 

Cosa chiediamo al Signore in quest’Eucaristia?

Di ritrovare la Chiesa perché è come se, a partire dalla Prima Lettura, dove i credenti stavano insieme, mettevano in comune i loro beni – un’immagine da sogno che la Chiesa rincorre, come una sorta di profezia, da duemila anni – già nella Prima Lettura ma anche ancora di più nel Vangelo intorno a questo tema: tu hai bisogno della Chiesa, tu hai bisogno degli altri. In questi due mesi abbiamo fatto esperienza della chiesa domestica, cioè tu hai bisogno di questa declinazione della Chiesa, che è la tua famiglia, sono i tuoi genitori,  i  tuoi fratelli, le sorelle, i figli, i nonni, ma poi spero che tu abbia nostalgia della tua parrocchia, del tuo parroco; spero che ti sia nata dentro una grande voglia di tornare la Domenica a Messa, quando ci sarà reso possibile, perché la fede cristiana non è mai declinata al singolare, coniugata al singolare, ma sempre al plurale, c’è il “noi” della Chiesa; in questo “noi” tu incontri anche il “tu” di Gesù, Signore e Dio della tua vita.

 

Coraggio!  Anche se sei stato lontano, anche se hai vagato per monti e per colli, torna alla tua chiesa. Non guardate le rughe della Chiesa, non guardate quello che nella Chiesa non va; anche nelle vostre case in questi due mesi la convivenza non è stata facile, anzi credo in alcune case particolarmente complessa, e questo accade anche nella Chiesa perché siamo diversi, perché insorge l’uomo, la donna con la sua voglia di comandare, invece torniamo alla chiesa come il luogo dove si fa Eucaristia, dove il Risorto appare, dove si celebra la fede, si prendono impegni e si viene rimandati nel mondo, come Gesù ha detto agli Undici: «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

“Io ho bisogno della Chiesa”. Don Milani lo diceva con forza anche nei momenti più delicati e di tensione con il suo vescovo, e portava anche una motivazione, “perché io ho bisogno di confessarmi” diceva, con una diciamo pubblica confessione di limite: “io resto nella Chiesa perché ne ho bisogno, perché ho bisogno di confessarmi, ho bisogno del perdono”.

Ecco, ricordate in questo momento i vostri parroci e le persone, anche quelle che stanno sempre al primo banco, che fanno un po’ da tappo, che non svolgono un ruolo di mediazione sana con il vostro pastore. La nostra famiglia è fatta anche di ammalati, d’altra parte sono malato anch’io, siete malati anche voi, ma in questa malattia che si tiene per mano, anche se adesso non possiamo farlo, il Risorto è visibile.

 

***

Il testo non è stato rivisto dall’autore.