Vieni alla luce

Diocesi di Avellino – V Domenica di Quaresima

Polo Giovani – 28 marzo 2020

Celebrazione Eucaristica

Mons. Arturo Aiello – Vescovo di Avellino

 

Omelia del Vescovo

 

Concludiamo, con questa pagina, il trittico di cui vi ho parlato le scorse settimane, dove c’è l’acqua della samaritana, c’è la luce del cieco nato, e quest’oggi, questa sera, c’è la vita data ad un amico. L’acqua che disseta per sempre, la luce che ci fa vedere oltre il visibile, la vita che ci fa attraversare ogni morte. È questo il grande impianto che la Chiesa primitiva ci ha consegnato, come viatico, per la Pasqua. Anche questa pagina della risurrezione di Lazzaro è molto articolata; sottolineo alcuni elementi che possono aiutarci in questo giorno ed in questo tempo.

 

Il primo: “un certo Lazzaro…”. L’Evangelista inizia così, per dire uno qualsiasi, un certo, un tale, ma poi quando le donne, le due sorelle mandano il telegramma a Gesù si esprimono diversamente: «Signore, ecco, colui che tu ami è ammalato». È un certo Lazzaro?, è un certo per gli altri, non per Gesù. E le sorelle insinuano per attirare il Maestro al capezzale dell’ammalato e poi del moribondo, raccontandogli, ricordandogli – “ri-cordare” è riportare al cuore – raccontandogli ciò che egli ha vissuto, ha sentito con quest’uomo e le due sorelle nella casa di Betania. “Colui che tu ami”.

Nel Vangelo di Giovanni, solo in questo caso, l’Evangelista rinuncia d’applicare a sé ed applica ad un altro questa dicitura, che gli vediamo sulle labbra ad ogni pie’ sospinto: «il discepolo che Gesù amava»; “il discepolo che Gesù amava” è ogni discepolo, ogni uomo, che può passare da essere “un tale” ad essere “colui che il Maestro ama”; dipende da te, dipende da me, non da Gesù questo passaggio; puoi essere un tale, uno qualsiasi, puoi essere l’amato, ed allora il discepolo non può essere abbandonato.

“Colui che ama è malato”. Spesso ho utilizzato, in passato, nella preghiera questa dicitura per persone che volevo raccomandare alla potenza di Dio: “Ecco colui che tu ami è malato. Datti da fare, muoviti, accelera i tuoi passi, cerca di venire prima che sia troppo tardi”.

Gesù sembra indugiare, nonostante i discepoli in qualche maniera lo pressino, girovagando, bighellonando, quasi a voler giungere quando è troppo tardi.

Ricordatevi che quando è troppo tardi per noi, per Lui è sempre tempo.

E questo è un altro grande insegnamento, che ci viene da questa pagina sulla vita – attenti non sulla salute a cui teniamo tanto in questi giorni, pur importante – ma sulla Vita. Noi dobbiamo fare attenzione a conservare la Vita, non solo la salute; la salute è un aspetto della vita. Oggi ne siamo preoccupati, speriamo di morire vivi e non morti; e moriamo vivi, se ci siamo dati da fare, intrattenendo delle relazioni d’amore, amando le persone, questo mondo, sapendo che siamo d’altrove.

“Tutte le cose” – ha scritto un poeta del ‘900 – tutte le cose “portano scritto più in là”; ed è questo il senso dell’indugiare di Gesù. Per le sorelle, per i discepoli, per noi, perché impariamo cosa sia veramente importante. Questi giorni ci pongono nella condizione di impararlo una volta per tutte o sarà un’occasione perduta per capire cosa sia veramente importante nella nostra vita.

 

Il secondo elemento, che pongo alla vostra attenzione, è la commozione di Gesù che arriva, volutamente, quando Lazzaro è già morto. La commozione davanti al pianto delle sorelle che arrivano tutte con il ritornello dell’“oramai”. «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!»; ma oramai non c’è più niente da fare. Questa è l’espressione che noi temiamo si pronunci su di noi, sulle persone a noi care: non c’è più niente da fare.

Gesù interviene proprio quando non c’è più niente da fare, quando sembra che la nostra vita precipiti nel vuoto, ed invece viene ad accoglierla; ma qui, nel Vangelo di Giovanni, abbiamo una delle poche foto di un Gesù in lacrime. Gesù si commuove davanti alle lacrime delle sorelle ma ancora di più scoppia in pianto davanti al sepolcro.

Ritengo, nella mia sensibilità, questa foto, questo particolare di Gesù in lacrime, che potrebbe essere giudicato, letto, come un elemento di debolezza, una pagina mirabile di tutto il Vangelo. Vorrei che se si dovessero perdere altri particolari, ci restasse questo: Gesù ha pianto. Le lacrime di Gesù corrodono e sciolgono il calcio della pietra, che chiuderà il mio sepolcro, il tuo sepolcro, i sepolcri che si stanno improvvisando in questi giorni.

È il pianto dell’affetto di questo legame, perché  Gesù si è legato con noi; “il Verbo si è fatto carne”; è il Verbo che è entrato nella Storia e ha scelto di vivere, santificandole e divinizzandole tutte le nostre esperienze: anche il pianto, anche il dolore, anche la morte.

Le lacrime di Gesù mi tireranno fuori dal buio della morte, scioglieranno anche la lapide del mio sepolcro. Solo su Gerusalemme Gesù è visto in pianto e poi, indirettamente, nell’Orto, nel momento immediatamente precedente la cattura. Ma queste lacrime – “sunt lacrimae rerum…” dice il poeta – queste lacrime sono il Vangelo. Gesù si commuove per la nostra povertà, per la nostra solitudine, per le nostre morti.

 

La terza sottolineatura, il terzo elemento, che voglio sottoporre alla vostra attenzione, è: «Lazzaro, vieni fuori!». C’è l’amico che trasforma “un tale” in discepolo amato e sei tu; se lo vuoi, devi accettarlo; la fede è tutta qui, nell’accettare d’essere amati da Dio in maniera passionale, pazzesca, senza limiti. Questo amore si trasforma in lacrime, si scioglie in lacrime. Metastasio, commentando in versi il pianto di Maria, dice: “Versa  dagli occhi il cuore / in lacrime disciolto / bacia quel freddo volto / e se lo stringe al sen”.

E adesso l’amico, l’amato che ha pianto, che si è addolorato, ha il potere di tirare fuori: «Lazzaro, vieni fuori!». Ed in questo momento è come se Gesù dicesse: “Vieni fuori da questa angoscia nella quale sei entrato, vieni fuori da questa tomba che ti sei già scavato da te con le tue mani; vieni a vivere, vieni all’aria aperta, vieni che è primavera, vieni che la vita risplende, vieni che la vita è bella”. Quale vita? Di nuovo torna l’interrogativo: Lazzaro risorto, morirà di nuovo; ed allora che risurrezione è, se quest’uomo dovrà, nuovamente, assaggiare il calice della morte? È un segno. È un segno della risurrezione finale a cui siamo chiamati tutti? È un anticipo della Risurrezione di Gesù? Siamo ormai vicini alla Pasqua. È un richiamo alla Vita oltre la vita, alla Vita dentro la vita, alla Vita che ribolle anche nelle nostre esperienze più disperate; per questo dobbiamo uscire fuori – non possiamo uscire dall’isolamento – ma usciamo fuori da questo pensiero negativo che si respira, che si taglia col coltello, tanto è concreto, e che è nelle nostre strade, nei nostri condomini, nei nostri sguardi, senza uscire fuori da questa tomba che noi stessi ci siamo costruiti, non è possibile celebrare la Pasqua, capirla nel suo aspetto rivoluzionario. E quest’uomo, che ormai era già in decomposizione, esce, ma è impedito.

Gesù non lo sarà. Gesù non ha bisogno di qualcuno che debba sciogliere le sue bende, debba togliergli il sudario; le donne, Pietro e Giovanni troveranno tutto in ordine il mattino di Pasqua. Ma Lazzaro è ancora prigioniero della morte e dunque deve essere sciolto. Scioglietelo, lasciatelo libero!

Ecco, vedete, da questa pagina di vangelo ci viene una forza, un ottimismo, nonostante l’aria che spira in giro, che solo Gesù ci può dare.

 

Ed allora ciascuno di noi dica stasera: “Gesù, accetto il tuo amore e smetto d’essere un tale e divento il discepolo amato. Gesù, le tue lacrime che sono le mie lacrime sul tuo volto – direbbe Pedro Salinas, un poeta spagnolo – le tue lacrime mi salvano”, sono lacrime di dolore, di compassione, ma sono le lacrime di Dio, e dunque se Dio piange per me, per te, per noi, Dio è commosso ed è addolorato per tutto quello che sta accadendo; allora c’è una via di uscita, “Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?”; ed infine: ubbidisci a questo imperativo: “Vieni fuori, esci fuori; vieni alla luce, entra nella fede, lascia la zona d’ombra, passa nella casa e nella reggia della luce”.

 

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Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.